A 14 mesi dal dieselgate ecco il bilancio

redazione

Quattordici mesi dopo lo scoppio del dieselgate, Avvenia (www.avvenia.com), il player italiano leader della white economy, traccia un bilancio, mettendo in evidenza come la manipolazione dei dati da parte di una delle case produttrici più prestigiose del mondo abbia aperto un vaso di Pandora in un settore che ormai da anni punta sulla sostenibilità ambientale come modello di business.

La vicenda non riguarda solo un colosso del settore automobilistico mondiale ma tocca la credibilità di un intero sistema produttivo poiché, secondo Avvenia, su strada le auto diesel di nuova generazione producono emissioni di polveri sottili e di ossidi di azoto che superano mediamente di 5 volte il limite consentito. Seppure producano il 15% in meno di CO2, le autovetture diesel emettono infatti 4 volte più biossido di azoto e 22 volte più particolato rispetto ai motori a benzina.

In questi 14 mesi cosa è cambiato? Non molto. La casa automobilistica maggiormente coinvolta nella vicenda ha effettuato il richiamo del 33% delle auto interessate alle modifiche tecniche, ma poi solo una vettura su 3 è stata effettivamente portata in officina e della vicenda che Avvenia definisce come «lo scandalo energetico del decennio» non se ne parla più di tanto.

In Europa, dove fino agli Anni Novanta del secolo scorso quello dei diesel era un mercato di nicchia che rappresentava meno del 10% delle automobili in circolazione, dopo la firma del Protocollo di Kyoto del 1997 e l’obbligo di ridurre le emissioni di CO2 dell’8% in 15 anni lo scenario è cambiato e oggi più della metà dei veicoli è diesel.

Mentre le case automobilistiche giapponesi e americane per ridurre le emissioni hanno puntato sulla ricerca nel settore dell’ibrido e dell’elettrico, la Commissione europea, forse cedendo alle pressioni delle case automobilistiche tedesche, ha preferito incentivare il passaggio al diesel, considerato il modo più economico e veloce per ridurre le emissioni di carbonio responsabili del cambiamento climatico.

«Ma il fatto che per limitare l’inquinamento da CO2 l’Europa abbia puntato sui motori diesel ha aperto la porta a incrementi di altre tipologie di inquinanti ben più pericolosi» commentano gli esperti di Avvenia.

E, sempre a livello europeo, un altro punto fondamentale da considerare è il test di omologazione che per i veicoli diesel prevede che l’automobile debba percorrere una distanza su dei rulli a una media di 33 chilometri orari per una durata di circa 20 minuti. «Così le case produttrici hanno potuto costruire motori che effettivamente realizzano emissioni basse alle condizioni previste dalla normativa europea, ma che poi quando poi si trovino in condizioni di uso normali producano un maggiore livello d’inquinamento» commenta l’ingegner Giovanni Campaniello, fondatore e amministratore unico di Avvenia.

Insomma, nell’attuale scenario, secondo Avvenia i nuovi modelli diesel possono anche superare le prove di laboratorio previste dalle attuali norme di omologazione, ma i dati di laboratorio possono poi non corrispondere con le prestazioni reali, con emissioni da ossidi di azoto che «sul campo» superano il limite consentito e con forti dubbi sulla reale efficacia dei filtri antiparticolato, sospettati di ridurre sì le emissioni di particolato complessivo, ma di trasformarne la struttura da PM10 a PM2, il particolato fine decisamente più pericoloso per i polmoni.