Un codice delle missioni all’estero “in grado di superare l’obsoleta dicotomia tra missioni di pace e missioni di guerra, tipica ormai solo dell’ordinamento italiano”. A sottolinearne l’esigenza, in un’audizione davanti alla commissione Difesa della Camera, è il generale Vincenzo Camporini, capo di stato maggiore della Difesa. “La tradizionale differenziazione tra le une e le altre – premette il generale – è ormai superata” e appare sempre più indifferibile la “definizione di un contesto giuridico certo, di un corpo normativo ad hoc che semplifichi e razionalizzi le norme attuali, garantendo la necessaria serenità a chi si trova a operare in determinati contesti. Dovessi scegliere, tra codice di guerra e codice di pace in situazioni di questo tipo sceglierei il primo, che dà ampia copertura a tutte le fattispecie che coprono anche la popolazione civile e, paradossalmente, tutela meglio chi è oggetto del nostro intervento ma la realtà è che nessuno dei due è adeguato, ci vuole una via di mezzo. Negli ultimi anni – ricorda Camporini – nelle missioni all’estero abbiamo impegnato in media dagli 8mila ai 12mila uomini, ma l’evoluzione geostrategica impone di ampliare le aree di interesse. Oggi l’impegno complessivo medio è di 8mila uomini, impegnati in circa 30 missioni in 21 paesi diversi: il 90% di queste risorse è assorbito dalle missioni in tre soli paesi – Libano, Afghanistan e Balcani -, cioè in aree di crisi che possono avere influenza sulla sicurezza internazionale, anche se nei Balcani, dove la stabilizzazione è ormai avviata, le risorse sono in decremento”. Una cosa è certa, conclude il capo di stato maggiore: “L’impegno presente e futuro degli strumenti militari fuori dai confini nazionali, in contesti disagevoli, in condizioni di multilateralità e in sinergia con i principali partner, non è più da considerarsi eccezionale, ma costante e continuo. E questo contribuisce a rendere sempre più urgente quel nuovo impianto normativo”, cui sta lavorando una speciale commissione ministeriale.
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