Carceri, con 58mila detenuti è di nuovo emergenza

Paola Fusco

 “La mancata adozione di provvedimenti strutturali da parte di Governo e Parlamento per modificare il sistema penitenziario contestualmente all’approvazione dell’indulto ha riportato le carceri italiane a livelli di sovraffollamento insostenibili. Oggi nei penitenziari italiani c’è un numero di detenuti pressoché uguale a quello per il quale, due anni fa, il Parlamento decise di approvare il provvedimento di clemenza. Il perdurare del silenzio della politica su questa grave criticità del Paese ci sconcerta, al di là delle dichiarazioni di intenti che però ancora non si traducono in provvedimenti concreti. Anzi, è addirittura previsto, nella Finanziaria approvata quest’estate, un taglio netto da 133 milioni di euro – un terzo dello scotto imposto dalla manovra triennale all’intera amministrazione della giustizia – ai fondi riservati all’amministrazione penitenziaria. Governo e Parlamento devono affrontare concretamente questa grave situazione, prevedendo lo stanziamento di fondi ad hoc in Finanziaria per assunzioni di personale di Polizia e amministrativo, realizzazione di nuove carceri, adeguamento strutture, infrastrutture e automezzi del Corpo”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe, l’organizzazione più rappresentativa della categoria con 12mila iscritti, analizzando i dati penitenziari riferiti al 31 ottobre scorso. I dati  indicano che a fronte di una presenza di quasi 58mila persone (delle quali circa 2.600 sono le donne) gli istituti di pena nel nostro Paese potranno ospitare ancora circa 5mila detenuti, "limite tollerabile" rispetto alla capienza regolamentare degli istituti  già abbondantemente superata pari a 43mila posti. Dei 58mila detenuti, ben 32mila sono gli imputati e quasi 22 mila gli stranieri (di questi in prevalenza albanesi, algerini, marocchini, tunisini e romeni. Si pensi che alla data del 31 luglio 2006, prima cioè dell’approvazione dell’indulto, avevamo nei 207 istituti penitenziari italiani 60.710 detenuti a fronte di una capienza regolamentare pari a 43.213 posti. Approvato l’indulto (Legge n. 241 del 31 luglio 2006), esattamente un mese, e cioè il 31 agosto 2006, il numero dei detenuti presenti in carcere era drasticamente sceso a 38.847 unità. E si consideri che i detenuti che materialmente uscirono dal carcere per effetto dell’indulto sono stati circa 27mila e 500, a cui bisogna aggiungere quelli che ne hanno beneficiato pur non essendo fisicamente in un penitenziario: circa 6.800 che fruivano di una misura alternativa alla detenzione, circa 200 già usciti dal carcere per l’indultino del 2003 e 250 minori. Il confronto tra queste cifre” spiega Capece “dimostra l’occasione persa dalla classe governativa e politica quando, approvato l’indulto, non ha raccolto l’auspicio del SAPPE di ‘ripensare’, allora, il carcere e adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, chiesti autorevolmente più volte anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Parlammo di provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna e di incremento degli organici di Polizia Penitenziaria (cui mancano più di 4mila unita rispetto all’organico previsto) cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale. Il perdurare del silenzio della politica su questa grave criticità del Paese ci sconcerta, al di là delle dichiarazioni di intenti che però ancora non si traducono in provvedimenti concreti. Anzi,  è addirittura previsto, nella Finanziaria approvata quest’estate, un taglio netto da 133 milioni di euro – un terzo dello scotto imposto dalla manovra triennale all’intera amministrazione della giustizia – ai fondi riservati all’Amministrazione penitenziaria! Governo e Parlamento devono affrontare concretamente questa grave situazione, prevedendo lo stanziamento di fondi ad hoc in Finanziaria per assunzioni di personale di Polizia ed amministrativo, realizzazione di nuove carceri, adeguamento strutture, infrastrutture ed automezzi del Corpo. Il Sappe auspica che vengano al più presto adottate dal Parlamento delle modifiche del sistema penale – sostanziale e processuale – che rendano stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale,  anche avvalendosi di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico).