Difesa, immobili a canoni di mercato

red

Dopo giorni di mobilitazione, ancora cattive notizie dalla manovra per il comparto Difesa. Nelle proposte firmate dal senatore Antonio Azzollini, e votate con la fiducia in Senato, compare l’ennesima disposizione sugli immobili della Difesa: si stabilisce che dal primo gennaio gli "occupanti" degli alloggi cosiddetti sine titulo (che non significa senza diritto, si affannano a spiegare gli inquilini in questione) dovranno pagare canoni di mercato. Per alcune famiglie sarebbe la fine: dovrebbero semplicemente andarsene. "Molte sono vedove con la pensione di reversibilità – spiega Sergio Boncioli, coordinatore nazionale di Casadiritto, l’associazione delle famiglie degli utenti – altre sono famiglie monoreddito. Sembra proprio che l’obiettivo finale sia cacciarle. Con una iniziale perdita secca sul gettito oggi ottenuto dagli affitti pagati". Un controsenso? Una norma boomerang? Non proprio. Perché dietro la questione affitti di mercato potrebbe profilarsi un’altra partita: quella più pesante della vendita all’asta degli immobili, contenuta in un altro provvedimento. A tenere in mano le carte è la neonata Difesa Spa, chiamata a gestire il patrimonio immobiliare della Difesa. Un patrimonio ragguardevole: circa 18.500 abitazioni sparse in tutta Italia. Di queste, circa 5.500 sono concesse ai "sine titulo" che le occupano pagando un canone variabile tra i 400 e i 1.200 euro mensili. Da questa quota di inquilini la Difesa raccoglie i due terzi dei suoi incassi immobiliari, circa 35 milioni l’anno. Sono loro, i 5.500 senza titolo a garantire le risorse per mantenere le case di quelli "con titolo", cioè chiamati a incarichi particolari e per questo legittimati ad occupare l’alloggio in cambio di 86 euro al mese. È una truppa di circa 4000 famiglie quella che gode di un trattamento di questo tipo. Moltissimi, vogliamo crederlo, perché chiamati a compiti onerosi. «Ma spesso questi titoli sono assolutamente incomprensibili – continua Boncioli – E sono gli altri che pagano per la manutenzione e la gestione di quegli appartamenti». Un’altra fetta di patrimonio (circa 5mila appartamenti) è definita «ast», cioè alloggi per sistemazione temporanea, ed è concessa a un canone inferiore all’equo canone, tra i 150 e i 200 euro mensili. Molti di questi appartamenti restano vuoti (solo a Roma ce ne sarebbero 500) perché costa troppo rimetterli in sesto. Il paradosso è che con l’emendamento della manovra proprio quelli che pagano di più saranno costretti a lasciare, mentre resterebbe intatto il diritto degli inquilini «con titolo» e degli «ast». Già migliaia di e-mail sono state inviate a Camera e Senato per tentare di cancellare quella norma. In più, i senatori Pd Achille Serra e Giampiero Scanu hanno chiesto un intervento del ministro Ignazio La Russa. Ma il ministro tace e non spiega nulla. Tuttavia la disposizione ha tutta l’aria di essere solo un tassello di un disegno più ampio, contenuto in un altro provvedimento. A maggio, infatti, è stato emanato il regolamento della legge sugli immobili della Difesa varata dal governo di centrosinistra. Peccato che il regolamento attuativo di fatto scardina i pilastri delle disposizioni volute dall’ex ministro Arturo Parisi. In quel testo si prefigurava la possibilità di vendere gli alloggi, ma con il diritto a restare con lo stesso canone d’affitto per chi non poteva acquistare e aveva un reddito familiare di 38mila euro Oggi quel diritto è stato ridotto a 5 anni (o 9 in caso di familiari con handicap) e il limite di reddito è stato abbassato tra i i 19mila e i 22mila euro annui a famiglia. Sono previste aste immobiliari a cui può partecipare chiunque, anche grandi immobiliaristi.