Il Canada mette al bando i "biberon killer"

Adria Pocek

Biberon killer? Dopo l’allarme lanciato negli Usa ora l’ansia si estende al Canada che, senza esitazioni, annuncia la messa al bando dei biberon fin dal prossimo anno per poi proseguire con la messa in mora di bottiglie di plastica, imballaggi per alimenti, piatti, tazze e stoviglie per forni a microonde. Tutti questi prodotti contengono una sostanza chimica pericolosa, il bisfenolo A (Bpa), che può produrre effetti nocivi sulla salute e in particolare sullo sviluppo dell’apparato riproduttivo. Il Bpa è un composto organico utilizzato per produrre plastiche dure che abitualmente sono poste a contatto diretto con il cibo e i liquidi, ma anche con l’organismo umano. Lo si adopera, ad esempio, per isolare le lattine di alluminio, per creare le bottiglie e per le tubature dell’acqua, ma anche per le otturazioni dentali. Gli scienziati hanno spiegato che se viene portata o sottoposta a temperature elevate questa sostanza può migrare nei liquidi o nei cibi. L’allarme, non nuovo, è stato rilanciato la settimana scorsa negli Stati Uniti: a destare le preoccupazioni degli esperti, sono stati gli ultimi dati raccolti nell’ambito del National Toxicology Program (NTP), istituito dai National Institutes of Health statunitensi. Secondo quanto emerge da questi studi il Bpa potrebbe accelerare la pubertà, aumentare il rischio di tumori a seno e prostata, dare problemi neurologici.  Il portavoce della House of Representatives Energy and Commerce Committee, John Dingell, ha quindi chiesto all’ente di regolamentazione statunitense “Food and Drug Administration” di riconsiderare la propria posizione sul Bpa sulla base dei nuovi risultati. Secondo gli ultimi studi del National Toxicology Program condotti su roditori, infatti, sarebbero molti gli effetti nocivi del Bpa: ”Sulla base dei suoi effetti sulle ghiandole prostatica e mammarie – si legge nel responso – non si può escludere la possibilità che il Bpa sia nocivo soprattutto nell’età dello sviluppo; servirebbero ulteriori indagini”.  L’allarme si è propagato al Canada: mentre il Governo decideva di agire subito dichiarando pericoloso il BPA, due importanti catene della grande distribuzione canadese hanno provveduto, loro sponte, a togliere dal catalogo i prodotti che lo contengono e a ritirare dal commercio le bottiglie e i prodotti con il bisfenolo-a. Dall’Istituto superiore di sanità italiano, tuttavia, gli esperti tendono a ridimensionare l’allarme Usa: ”L’esposizione attraverso sostanze alimentari al Bpa – sostiene Rosaria Milana del Dipartimento Ambiente e prevenzione – sono ad oggi sotto i limiti considerati di ‘tollerabilità” dalle autorità europee, sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili”. Il dato certo, infatti, è che il bpa ‘trasmigra’ in quantità minime dalla plastica al prodotto alimentare; per questo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha fissato dei valori limite di tollerabilità pari a 0,05 milligrammi di sostanza per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Il punto, osserva Milana, è che ”non è dimostrato che tali effetti nocivi sulla salute possano verificarsi anche a basse dosi di esposizione e attualmente sono in corso vari studi”. Ad ogni modo, rassicura l’esperta, ”le autorità europee hanno fissato dei limiti ‘soglia’ di sicurezza e le quantità di Bpa che eventualmente potrebbero ‘migrare’ dall’ imballaggio al prodotto alimentare sono ben al di sotto di tali valori”. E questo vale anche per i biberon in plastica. Oggi, quindi, conclude la specialista dell’Iss, ”precisi limiti di sicurezza sono previsti, ma è chiaro che, a fronte di nuovi ed eventuali dati scientifici validi circa gli effetti del Bpa, questi limiti andrebbero rivalutati”. Il Bpa era già stato messo sotto accusa, come sostanza nociva per il sistema ormonale, da 11 associazioni che il 27 giugno 2006 avevano espresso ”preoccupazione” per la posizione comune del Consiglio Ue dell’ambiente in materia di legislazione europea per le sostanze chimiche. Nel 2007, l’Efsa ha però confermato che ”resta valido il livello privo di effetti negativi osservati di cinque milligrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno, già individuato nella precedente valutazione del 2002”.