Marina Militare: quando la sicurezza viene dal mare

Massimo Scambelluri

Tratta di esseri umani, traffico internazionale di armi e droga, pirateria, incidenti anche mortali dovuti a imperizia o distrazione, sono solo alcune delle problematiche cui devono fare fronte, giorno dopo giorno, i corpi di sicurezza dello Stato. Né più ne meno come accade tutti i giorni della settimana sulle nostre strade e autostrade, con picchi di allarme da bollino rosso anche per quanto concerne gli specchi d’acqua che circondano per tre lati la nostra penisola. Quali sono le “minime regole di sicurezza” cui ci dovremmo attenere quando si va in mare aperto? Chi risponde alle richieste di aiuto? Come ci si deve comportare in caso di panne o di rischio meteo? E ancora, esistono ancora gli atti di pirateria? Come si può resistere all’arrembaggio dei moderni Corsari Neri? La risposta per ognuno di questi quesiti ci è stata data dall’ufficiale più esperto del ramo, il Capitano di Vascello Aurelio de Carolis che, allo Stato Maggiore della Marina Italiana, dirige l’Ufficio Politico Navale. Comandante, vorremmo fare il punto sulla sicurezza in mare. Quali sono i pericoli che si possono correre allontanandosi dalla costa? Quando si va per mare la prima cosa di cui bisogna tenere conto è la sicurezza. Il diportista coscienzioso deve controllare subito l’imbarcazione, le attrezzature e i mezzi preposti alla sicurezza, assicurandosi che ogni cosa sia efficiente e ben mantenuta, ma soprattutto deve avere le competenze e l’addestramento necessari per andare in tutta sicurezza. Il Mediterraneo è un ambiente dove le condizioni del tempo possono cambiare con grande rapidità e benché oggi ci si avvalga di ottimi sistemi di previsione la particolare conformazione di questo bacino, la presenza di terre circostanti che hanno caratteristiche molto peculiari in termini di catene montuose fa si che i movimenti delle masse d’aria siano tali da ridurre i tempi di previsione, fenomeno che non avviene nelle masse oceaniche dove è più semplice fare previsioni anche con largo anticipo. Quali altre accortezze bisogna avere? Parlando di sicurezza gli anglosassoni fanno opportune distinzioni utilizzando due termini distinti: Safety e Security. In italiano si traducono entrambi con “sicurezza”, ma ci sono contesti in cui ci si riferisce a uno e altri in cui si parla dell’altro. “Safety” indica le precauzioni da adottare – in questo caso nelle imbarcazioni – per fronteggiare con successo le emergenze. Posto quindi che nell’andar per mare si abbia cognizione certa delle condizioni del tempo e si sia in grado di affrontarle, si posso verificare diverse tipologie di incidenti, come un incendio, una falla o un problema puramente tecnico. Per farvi fronte bisogna accertarsi di avere le dotazioni radio, le segnalazioni acustiche e d’illuminazione, ovvero tutti quei mezzi che permettono di mettersi in contatto con il resto del mondo così da segnalare la situazione di emergenza lanciando il “May Day” il segnale d’allarme che viene inviato sui circuiti di comunicazione via radio e che è equivalente al vecchio SOS in alfabeto morse (3 punti 3 linee 3 punti) semplice e inequivocabile. Tutte le procedure sono concordate a livello internazionale e chi va per mare deve conoscere i regolamenti e le misure di impiego, ma soprattutto avere un mezzo che rispetti le norme. In acque territoriali, a chi ci si deve rivolgere se c’è un problema a bordo? La Marina Militare ha un Corpo destinato alla ricerca e al soccorso in mare. E’ il famoso “Search and Rescue”, quanto mai attuale visto quanto sono frequenti oggi gli interventi che bisogna fare per salvare vite umane in mare. L’area SAR italiana va ben oltre il limite delle acque territoriali – fissato per legge nazionale e per convenzione internazionale in 12 miglia – e copre tutto l’interno del Tirreno, inglobando le isole e andando ben oltre il Mediterraneo centrale. Per gestire le operazioni in quest’area esiste il Corpo delle Capitanerie di Porto che è anche un corpo della Marina Militare con personale, ufficiali, sottoufficiali e marinai formati nelle nostre scuole. Oltre a dipendere dal ministero della Difesa le Capitanerie di Porto hanno una dipendenza “funzionale” dal ministero dei Trasporti per garantire la sicurezza in mare allo shipping. Sono quindi le Capitanerie che rispondono al numero di soccorso 1530? Infatti, è questo un servizio importantissimo al quale rispondono. Però attenzione, negli ultimi tempi l’avvento della telefonia mobile ha prodotto un cambiamento. Nei primi anni ‘90 era in voga l’ETACS, un sistema che lavorava su bassa frequenza e permetteva di avere un’ampia portata che in mare andava a distanze significative. Con un cellulare si riusciva, infatti, a telefonare in Italia dalla prossimità delle coste della Tunisia. Oggi, con i nuovi telefonini e le nuove frequenze, abbiamo da un lato il vantaggio che si è allargata la banda utile – quindi possiamo usare internet e generare grandi flussi di dati – dall’altro però abbiamo perso in distanza. Fino a 12 miglia dalla costa, quando le condizioni lo permettono, possiamo riuscire a parlare col telefonino, ma se ci allontaniamo ancora un po’ il cellulare non prende più, a meno che non sia un satellitare. Ci sono vari operatori internazionali che offrono questi servizi, primo fra tutti Inmarsat che a sua volta è stato il primo nel settore, ma anche Globalsar, Iridium, Thuraya. Sono però ancora molto costosi (anche se meno che in passato) e proprio per questo motivo vengono utilizzati normalmente dagli operatori commerciali. Non è tipicamente qualcosa di cui è dotato un privato. Quindi, in caso di necessità, si torna ai mezzi tradizionali che sono, appunto, la chiamata via radio su canale VHS 16, il famoso canale di emergenza sulla frequenza 156.8 Mhz. La Guardia Costiera, attraverso le proprie stazioni e i centri operativi sparsi lungo tutti gli 8.000 km di costa, raccoglie gli eventuali segnali d’allarme e dispone le attività necessarie per l’intervento. Se passiamo in acque internazionali, interviene la Marina? Le aree SAR includono anche le acque internazionali. Nel Mediterraneo non c’è angolo di mare che non appartenga all’area SAR di un paese. Questo è un elemento importante perché per coordinare i soccorsi si sa subito chi è responsabile in quel punto della area. Tra l’altro la Capitaneria di Porto italiana ha, presso il Comando generale a Roma, un centro di coordinamento del soccorso marittimo (IMRCC – Italian Maritime Rescue Coordination Center), che assicura il soccorso anche in acque internazionali nell’area di responsabilità dell’Italia, ma che riceve, ovviamente, i segnali provenienti da altre aree. Questi segnali oggi viaggiano via satellite, tramite il sistema Cospas/Sarsat, che – secondo una direttiva dell’IMO (International Marittime Organization) agenzia delle Nazioni Unite – è obbligatoriamente in dotazione sulle navi di un certo tonnellaggio. Su questo sistema, per altro, trasmette l’Epirb. I segnali satellitari si diffondono in tutto il mondo, per cui gli IMRCC di Roma ricevono il segnale inviato da una nave o uno yacht in difficoltà, ad esempio, nel golfo di Aden, dove, non avendo la Somalia strutture specifiche, cercheranno di interessare la più vicina guardia Costiera, come potrebbe essere quella yemenita o lo stato di Gibuti. Chiaramente questi avvisi vengono inoltrati dalla Guardia Costiera verso lo Stato Maggiore della Marina che può decidere di intervenire con una delle proprie navi dislocate in tutti i mari del mondo o eventualmente contattare altre marine Nato o di paesi terzi per far si che i soccorsi avvengano nel minor tempo possibile. Ma oltre ai guasti – chiamiamoli così – “naturali”, ci sono anche altre cause che fanno lanciare il My Day? Eh si. Abbiamo finora parlato di condizioni meteorologiche e di sicurezza in senso safety. Ora possiamo approfondire un terzo aspetto già menzionato all’inizio: la security. Qui parliamo di sicurezza da altri tipi di minacce che si possono incontrare andando per mare, come la classica pirateria che per altro è un fenomeno che vanta una storia antica, basti ricordare sin dall’epoca pre-romana i pirati Fenici o la famosa campagna condotta da Pompeo contro i Pirati nel 50 a.C. La pirateria esiste purtroppo anche oggi, ed è concentrata in determinate aree del mondo; al momento non si verificano episodi del genere nel Mediterraneo, ma nel Corno d’Africa, nel sud est asiatico, intorno alle coste del Bangladesh a Chittagong, e nel Mar Cinese meridionale il fenomeno è frequente. Anche il Golfo di Guinea è un’area a rischio e, in modo minore, dei casi si registrano anche ai Caraibi e in alcune aree dell’America Meridionale. Proprio nell’America del sud ricordiamo il triste episodio costato la vita sul Rio delle Amazzoni a Sir Peter Blake, famoso velista nei primi anni ’90 che all’epoca aveva 53 anni (dicembre 2001). C’è quindi una recrudescenza, un tornare a un fenomeno che ci sembrava relegato al passato. Si, il fenomeno della pirateria non è mai cessato. E’ proseguito, anzi si è incrementato nel corso degli anni 2000, complice tra l’altro un generalizzato incremento dei traffici marittimi che rappresentano oggi ben oltre il 90% del commercio mondiale in una economia globalizzata dove aumenta la necessità di trasferimenti sia di materie prime che di prodotti finiti. Negli ultimi due anni stiamo assistendo a una riduzione in numeri assoluti del fenomeno, però con un aumento in determinate aree, come il Corno d’Africa, dove ci sono stati numerosi attacchi. Nel 2005, una nave della Marina Militare dovette intervenire perché nel mese di luglio ci furono due navi attaccate nel giro di una settimana: il Jolly Marrone e il Cielo di Milano, rispettivamente una porta container e una petroliera. In quell’area, però, i pirati hanno attaccato anche degli yacht da diporto. Oltre la pirateria, la minaccia più incombente in mare è il terrorismo: potremmo ricordare l’episodio dell’Achille Lauro del 1982 e, più recentemente, gli attacchi alle navi americane nel 2000 (Kroll, porto di Aden) e nel 2002 (petroliera Limburg). Ma attualmente l’attività terroristica è in alcuni casi molto contigua alla pirateria come nel Golfo di Guinea dove alcuni nostri connazionali che operavano su piattaforme petrolifere, a dicembre dello scorso anno sono stati vittime di episodi criminali in mare. Comunque, regolamenti alla mano, il diritto internazionale prevede che questo stesso atto perpetrato all’interno delle acque territoriali di uno Stato non si configura più come pirateria, ma come “armed robbery” (Rapina a mano armata) quindi atti di depredazione che può essere anche violenta, atti criminali che mettono a repentaglio l’incolumità delle persone e la sicurezza dei mezzi . I mari, tra l’altro, sono ultimamente teatro dell’immigrazione clandestina, un fenomeno molto triste. E anche qui troviamo la connivenza con la criminalità organizzata. Si pensi all’utile che si può ricavare da un carico di clandestini. Queste sono ulteriori forme di minaccia che bisogna considerare, rappresentate dai criminali che organizzano questi flussi, e esigenze di safety invece nei confronti di coloro che, per mano di questi criminali, a volte finiscono in mare. Per la salvezza di queste persone la Marina svolge un’attività molto intensa nei mari che circondano l’Italia. Un’ultima domanda. Con l’incremento dei traffici merci e con lo sviluppo delle Autostrade del Mare potrebbe verificarsi lo stesso fenomeno registrato sulle autostrade dove spariscono i Tir? Potrebbe far gola tutta questa merce che viaggia sull’acqua. Vi state preparando a contrastare questo fenomeno? Si, la Marina è molto attiva in questo senso. Però dobbiamo scollegare il discorso “Autostrade del Mare” nell’analogia che facciamo al Tir che scompare e quindi all’esigenza di sicurezza. L’utilizzo degli spazi marittimi per il trasferimento di merci è una cosa assolutamente auspicabile, quindi ben vengano le autostrade del mare per il trasferimento intermodale delle merci laddove si creano strutture portuali dalle quali poi le merci possano fluire nel modo più efficiente possibile verso le destinazioni finali. Sicuramente il trasporto marittimo è un modo molto efficiente per il trasferimento delle merci e dei passeggeri, e se c’è questo aumento di traffico aumentano anche le possibilità di incidenti di vario genere sia nel settore safety che in quello della security. D’altronde mari più affollati potrebbero richiamare molto di più l’attenzione di chi deve svolgere attività criminali e per questo la Marina è già attiva da tempo in questo campo: abbiamo istituito il cosiddetto VRMTC, (Virtual Regional Maritime Traffic Center), un sistema di controllo dei traffici marittimi esteso al Mediterraneo e al Mar Nero nei quali abbiamo attivato uno scambio informativo con le sale operative di 17 marine (presto saranno 19 con l’ingresso della Germania e forse della Bulgaria). Abbiamo anche un sistema, sempre sul modello del VRMTC, con il quale scambiamo informazioni con i paesi nord africani. Al momento partecipano a questo secondo sistema il Marocco, la Mauritania e l’Algeria, e prevediamo a breve la firma della Tunisia. Anche la Libia ha mostrato interesse a unirsi a questo progetto, che si chiama VRMTC 5+5 e comprende i 5 paesi della zona sud dell’Europa, quindi Spagna, Portogallo, Francia, Italia e Malta, e i 5 paesi del nord Africa nel Mediterraneo occidentale. L’iniziativa “5+5”, che parte a livello dei ministeri degli esteri e della difesa, ha sviluppato una propria dimensione marittima e l’attivazione di un Centro dei controlli dei traffici condiviso (puramente virtuale, perché ogni nazione continua ad avere un suo centro) che ci permette di avere un unico database gestito dalla Marina Militare presso il Quartiere Generale della squadra navale di Roma. Questo è quanto facciamo dal punto di vista internazionale. Sul piano interno, stiamo lavorando intensamente sul cosiddetto DIISM, Dispositivo Interministeriale Integrato di Sorveglianza Marittima, perché la sicurezza marittima non è un fatto sul quale lavora solo la Marina Militare, anche se sicuramente essa ha la massima capacità di integrazione delle informazioni avendo contatti con tutti. Abbiamo rapporti consolidati e sinergie in atto anche con Confitarma, rafforzate anche dalla presenza nel nostro ambito del corpo delle Capitanerie di Porto e quindi della Guardia Costiera, però, ad esempio, se parliamo di narcotraffico sicuramente non è un compito attribuibile alla Marina Militare anche se i flussi di droga avvengono in larga parte via mare. Ecco quindi la necessità di sviluppare accordi interministeriali per concorrere alla sicurezza marittima che va vista come qualcosa di unico. Ovviamente, se la nave della Marina Militare intercetta un’imbarcazione carica di droga interviene in virtù della legge 309 del 90, che ci consente di intervenire ovunque si trovi una nave di bandiera italiana; poi sono stati siglati accordi con alcuni paesi, come ad esempio la Spagna, laddove, anche in acque internazionali per esigenze di narcotraffico noi possiamo intervenire su navi spagnole e viceversa. Preciso questo perché, in acque internazionali, una nave è territorio dello Stato di cui porta la bandiera per cui noi non abbiamo titolo di intervenire su una nave di bandiera che non sia italiana se non per casi specifici previsti dal diritto internazionale rispondenti a casistiche molto precise (ad esempio, la tratta degli schiavi o comunicazioni radio non autorizzate) e non per dei semplici sospetti in settori più generici della criminalità. In ogni caso le marine militari, proprio in attuazione del diritto internazionale (la legge in tal senso è una sola, ovvero la Convenzione di Montego Bay del 1982 firmata e ratificata dal governo italiano), interviene nei confronti di qualunque nave in alto mare se questa non ha bandiera perché è sempre fondamentale appurare la nazionalità di una nave. Intervenire non vuol dire necessariamente salire a bordo: si può interrogare l’imbarcazione via radio, avvicinarsi e cercare di trovare questi elementi. Tornando ai nostri navigatori a bordo dello yacht dobbiamo sempre ricordare loro di esporre la bandiera perché chi svolge attività di controllo degli spazi marittimi deve avere conoscenza di chi va per mare per svolgere al meglio la propria missione. Un altro ottimo consiglio è avere sempre a portata di mano tutta la documentazione di bordo. In conclusione: è importante tenere tutto in ordine da un punto di vista soprattutto della safety più che della security, anche se esiste un codice ISPS dell’agenzia delle Nazioni Unite che sta dettagliando gli assetti particolari sul tema affinché le navi possano proteggersi anche da un punto di vista della security. Per garantire la sicurezza degli spazi marittimi dovremmo anche parlare di tutte quelle navi, aeromobili e sommergibili che in Marina chiamiamo H24, perché lavorano tutto l’anno 24 ore su 24, nei mari vicini e lontani. Oggi abbiamo la Fregata d’Iseo in pattugliamento nel golfo di Akab, laterale al Golfo di Suez e presso la base italiana di Sharm el Sheik sono dislocati dal 1986 tre pattugliatori che svolgono attività di pattugliamento dello stretto di Tiran (che mette in comunicazione con il Mar Rosso) per la sicurezza di una zona particolarmente delicata, quella attorno alla penisola del Sian, dove fortunatamente c’è stata la pacificazione con gli accordi di Camp David. Però importante è fare un’attività di controllo continua. Gli equipaggi sono tutti italiani, e fanno parte di una forza multinazionale, la MFO, Multinational Force and Observers. Oltre le navi ci sono osservatori distribuiti sulla terraferma lungo tutta la penisola del Sinai per garantire che quella sia una zona sicura da tutti i punti di vista. Ultimamente la Marina Militare è intervenuta in Libano, dove la situazione non è facile come nel Sinai, anche se tutti auspichiamo che le cose possano evolvere in modo positivo anche lì per poter guardare il mare come un luogo dove andare in barca o a pesca e non come un luogo dove hanno luogo attività criminali.