Sicurezza nel cloud, Palo Alto Networks analizza i trend e indica come renderla più efficace

redazione

 

I benefici garantiti dal cloud alle aziende sono chiari: maggiore flessibilità, agilità, scalabilità e riduzione dei costi. Tuttavia, adottare un’infrastruttura cloud pubblica comporta anche rischi alla sicurezza e sfide legate alla conformità. Unit 42 – il team di Palo Alto Networks dedicato alla threat intelligence – ha pubblicato il report “Trend e consigli di sicurezza cloud: gli elementi chiave per proteggere gli ambienti cloud AWS, Azure e Google”, nel quale mette in luce tutte le minacce alla sicurezza cloud, nuove ed esistenti, apparse da fine maggio a inizio settembre 2018 e analizza l’andamento delle aziende nel tentativo di bilanciare il rischio con l’efficienza.

 

Qui di seguito alcuni dei risultati principali:

 

  • Le compromissioni degli account stanno diventando sempre più numerose e veloci: il 29% delle aziende possiede account potenzialmente compromessi, il 27% consente attività a utenti root e il 41% delle password non è stato cambiato negli ultimi 90 giorni. Le compromissioni delle credenziali stanno diventando sempre più comuni, le aziende devono rafforzare la governance e il controllo accessi e operare con la consapevolezza dell’esistenza di queste minaccia, implementando un sistema di monitoraggio per rilevare e rispondere rapidamente a ogni attività sospetta da parte degli utenti.

 

  • La conformità è un’attività costante: i numeri sono innegabili: il 32% delle aziende ha almeno un servizio di cloud storage a rischio, il 49% dei database non è crittografato e il 32% non supera i controlli di conformità al GDPR – un problema significativo nel mondo operativo globale di oggi. È risaputo che configurazioni rischiose conducono a violazioni di alto profilo. Ci sono segnali di una protezione migliore dei servizi di storage cloud, ma con l’aumento delle normative – come il GDPR e il California Consumer Privacy Act, sono numerose le aziende che hanno ancora molto da fare per raggiungere conformità e governance complete sugli ambienti cloud pubblici.

 

  • Le attività di cryptojacking potrebbero rallentare: Unit 42 ha riscontrato che l’11% delle aziende ha subìto attività di cryptojacking (sfruttamento della CPU per minare criptovalute a insaputa degli utenti), un problema serio che sembra fortunatamente in calo rispetto al 25% del mese di maggio. Più di un quarto (26%) non limita il traffico in uscita e il 28% dei database riceve connessioni inbound da internet. Sembra che la diminuzione del valore delle criptovalute, unita a migliori capacità di rilevazione, stia aiutando a ridurre gli attacchi cryptojacking. Questo rappresenta un’opportunità per implementare contromisure efficaci prima della prossima ondata.

 

  • Una nota positiva nella gestione delle vulnerabilità: Spectre e Meltdown sono stati i protagonisti di importanti interruzioni operative a inizio anno, oggi invece l’ultima vulnerabilità che colpisce i processori Intel (L1 Terminal Fault) e l’errore di un remote code execution (RCE) in Apache Struts 2 stanno provocando numerosi grattacapi: il 23% delle aziende si affida a host ai quali mancano patch fondamentali nel cloud. I Cloud Service Provider (CSP) forniscono una prima linea di difesa grazie all’aggiornamento delle proprie infrastrutture e servizi, ma i clienti giocano un ruolo importante nella rilevazione e risoluzione tramite patch di host vulnerabili. Questo non può essere fatto con strumenti di analisi delle vulnerabilità standalone, non progettati per architetture cloud.

 

  • Contenere il modello container: non c’è dubbio che l’adozione dei container sia in forte espansione, con un’azienda su tre che utilizza un’orchestrazione Kubernetes nativa o gestita, e un quarto che fa leva su servizi gestiti nel cloud come Amazon Elastic Container Service for Kubernetes (EKS), Google Kubernetes Engine (GKE) e Azure Kubernetes Service (AKS). Queste piattaforme permettono agli sviluppatori di implementare, gestire e scalare applicazioni containerizzate in modo più semplice. Unit 42 ha rilevato che il 46% delle aziende accetta traffico nei pod Kubernetes provenienti da qualsiasi fonte, e il 15% non utilizza le policy di Identity e Access Management (IAM) per controllare gli accessi alle istanze Kubernetes. Le organizzazioni hanno la necessità di applicare policy di rete che isolino i pods e potenzino il controllo accessi.