Trieste, dopo l’aggressione in carcere ad un poliziotto penitenziario e a un infermiere è dura la protesta della Polizia Penitenziaria

redazione

“Quel che è accaduto nei giorni scorsi nella Casa Circondariale di Trieste, con le aggressioni prima ad un poliziotto penitenziario e poi ad un infermiere, ha riportato alla ribalta le difficoltà della struttura detentiva giuliana e delle gravi condizioni operative nelle quali lavora ogni giorno il personale di Polizia Penitenziaria. Dove sono ora quelli che rivendicano ad ogni piè sospinto più diritti e più attenzione per i criminali ma si scordano sistematicamente dei servitori dello Stato, come gli Agenti di Polizia Penitenziaria e gli appartenenti alle Forze dell’Ordine, che ogni giorno rischiano la vita per la salvaguardia delle Istituzioni?”.
E’ la domanda che si pone il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, per il tramite del Segretario Generale Donato Capece, dopo i gravi episodi accaduti nel carcere di Trieste.
“Quel che è accaduto, di una violenza inaccettabile, ci ricorda per l’ennesima volta quanto sia pericoloso lavorare in un penitenziario. Rinnoviamo, alla luce del grave fatto accaduto a Trieste, la richiesta di un incontro con il Ministro della Giustizia Andrea Orlando per affrontare eventuali interventi che possano essere messi in campo dalla politica. Per altro, sarà anche l’occasione per evidenziare al Guardasigilli che la realtà detentiva italiana è più complessa e problematica di quello che lui immagina e che il SAPPE denuncia sistematicamente”.
Il segretario generale del SAPPE sottolinea: “E’ vero quel che ha detto durante la consueta conferenza stampa di fine anno il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, ossia che avere un sistema carcerario più moderno e più umano aiuta la sicurezza. Ma oggi la realtà in Italia non è affatto così. Oggi, nelle 190 prigioni del Paese, sono presenti 58.115 detenuti, quasi 20mila dei quali sono gli stranieri, ossia ben oltre la capienza regolamentare, e gli eventi critici tra le sbarre (atti di autolesionismo, risse, colluttazioni, ferimenti, tentati suicidi, aggressioni ai poliziotti penitenziari) si verificano quotidianamente con una spaventosa ciclicità. I suicidi di detenuti in cella, poi, sono stati oltre 50 dall’inizio dell’anno, cifra mai raggiunta prima dalla nascita della Repubblica a testimoniare che il sistema penitenziario, per adulti e minori, si sta sgretolando ogni giorno di più, con gravi ripercussioni sull’operatività delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, umiliati dalle continue offese di una parte di ristretti intolleranti alle regole, all’ordine e alla sicurezza delle carceri. E deve fare seriamente riflettere la constatazione che l’accoltellamento di un poliziotto in servizio non merita lo sdegno pubblico di coloro – radicali, amici di Caino ed associazionismo vario – sempre pronti a schierarsi dalla parte dei detenuti a prescindere”.
Netta è la denuncia del SAPPE: “Da tempo il SAPPE denuncia, inascoltato, che la sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle della Polizia Penitenziaria di sorveglianza dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza di personale – visto che le nuove assunzioni non compensano il personale che va in pensione e che è dispensato dal servizio per infermità -, il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento. La realtà è che sono state smantellate le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali, con detenuti di 25 anni che incomprensibilmente continuano a stare ristretti in carceri minorili. Mancano Agenti di Polizia Penitenziaria e se non accadono più tragedie più tragedie di quel che già avvengono è solamente grazie agli eroici poliziotti penitenziari, a cui va il nostro ringraziamento. Per questo nelle carceri c’è ancora tanto da fare, ma senza abbassare l’asticella della sicurezza e della vigilanza, senza le quali ogni attività trattamentale è fine a se stessa e, dunque, non organica a realizzare un percorso di vera rieducazione del reo”.