A Milano San Vittore il terzo suicidio di un detenuto nelle carceri italiane. Sappe: “politica non resti a guardare”

redazione

Un detenuto di origine marocchina di 20 anni, ristretto per avere commesso il reato di rapina e con fine pena 2020, si è impiccato nel bagno della sua cella nel carcere San Vittore di Milano. La notizia proviene dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, per voce del Segretario Regionale della Lombardia Alfonso Greco: “L’uomo era detenuto nel V Reparto detentivo del carcere di San Vittore e si è impiccato nel bagno della cella. Nonostante il tempestivo intervento dell’Agente di Polizia Penitenziaria, non è stato purtroppo possibile salvargli la vita. Un gesto grave, che lascia in noi amarezza e sgomento”. Greco evidenzia un pronunciamento del Comitato nazionale per la Bioetica che ha sottolineato come “il suicidio di un detenuto costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere”.
Donato Capece, segretario generale del SAPPE, è lapidario nella denuncia: “Tre detenuti che si tolgono la vita in carcere in meno di una settimana sono un fallimento per lo Stato. Vittime innocenti di un disagio individuale a cui non si riesce a fare fronte nonostante gli sforzi e l’impegno degli operatori, in primis le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che il carcere lo vivono nelle sezioni detentive”.
Capece ricorda che “sabato si era tolto la vita un detenuto a Regina Coeli a Roma, domenica un detenuto di Terni. E questo nuovo drammatico suicidio di un altro detenuto evidenzia come i problemi sociali e umani permangono, eccome!, nei penitenziari, lasciando isolato il personale di Polizia Penitenziaria (che purtroppo a San Vittore non ha potuto impedire il grave evento) a gestire queste situazioni di emergenza. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”.
Il SAPPE, che ricorda anche il drammatico suicidio di un poliziotto penitenziario in servizio nel carcere di Tolmezzo, avvenuto nella notte tra sabato e domenica scorsi, evidenzia che “”negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 19mila tentati suicidi ed impedito che quasi 145mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”, conclude il leader nazionale del primo Sindacato del Corpo. “Il dato oggettivo è che la situazione nelle carceri resta allarmante. Altro che emergenza superata! E la politica deve assumere provvedimenti concreti, per il carcere ed il Corpo di Polizia Penitenziaria, lasciando da parte gli slogan demagogici”.