Allarme a Pesaro, violenze in carcere nel nome di Allah da parte di detenuti nordafricani

redazione

Torna al centro delle cronache la Casa circondariale di PESARO, dove nella notte di domenica si è sfiorata la tragedia.
“Colpa e conseguenza della protesta sconsiderata e incomprensibile di alcuni detenuti di nazionalità nordafricana, fondamentalisti musulmani simpatizzanti della Jihad, che nella serata di domenica, hanno prima appiccato un incendio nella cella dov’erano ristretti, dando fuoco a tutto quello che vi era all’interno, e poi minacciato il personale di Polizia Penitenziaria, lanciando loro contro delle rudimentali ordigni realizzati con le bombolette del gas che usano per cucinare”, spiega Nicandro Silvestri, segretario regionale per le Marche del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il primo e più rappresentativo della Categoria, che ricostruisce gli eventi. “Sono stati attimi di autentica tensione. Domenica sera, nella III Sezione detentiva del carcere, occupato dai detenuti cd sex-offender, era palpabile un clima di tensione da parte di 4 detenuti di origine magrebina, tutti definitivi con un fine pena che vanno dal 2019 al 2026 per violenze sessuali, rapina, sequestro, lesioni, minacce, droga ed altro. Durante la distribuzione della cena, questi lamentavano con modi eccessivi e impropri di essere stati mortificati dal personale di Polizia perché gli era stato distribuito un quantitativo di olio crudo, a loro dire insufficiente alle proprie necessità proprie nel mese sacro del Ramadan. Si è cercato in tutti i modi di riportare alla calma i detenuti, ma uno di questi prima aizzava gli altri tre a dargli man forte alla protesta e con atteggiamento di sfida e protesta, inveiva contro i poliziotti penitenziari intervenuti, prima proferendo minacce di morte nei loro confronti dello stesso e poi incendiando alcuni effetti letterecci, gettandoli dalla cella nel corridoio e creando dunque una grande fumata col rischio di intossicare i presenti. . Il tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari di servizio, aiutati anche dagli Agenti liberi dal servizio immediatamente accorsi, con grande senso di responsabilità, coraggio e professionalità, ha permesso di evitare più gravi e tragiche conseguenze. Ma il detenuto a capo della protesta si è armato con alcune lamette e ha lanciato due bombolette avvolte in un cuscino dato alle fiamme e lungo il corridoio facendole scoppiare. Infine ha messo a riscaldare dell’olio bollente con il chiaro intento di lanciarlo appena qualcuno si sarebbe avvicinato alla sua stanza e si è messo a cantare delle canzone in arabo. Sono stati bravi i poliziotti penitenziari del carcere di Pesaro, in servizio e fuori servizio, a intervenire tempestivamente, con professionalità, capacità e competenza. Vanno stigmatizzate con fermezza le gravi e pericolose intemperanze e vanno condannate con fermezza queste violenze, commesse nel nome del più becero e pericoloso fanatismo integralista musulmano. Questi sono detenuti pericolosi che devono essere trasferiti immediatamente da Pesaro”.
Donato Capece, segretario generale del SAPPE, aggiunge: “Poteva essere una tragedia, sventata dal tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari di servizio nel Reparto e da quelli che, liberi, hanno raggiunto il carcere di Pesaro per dare supporto ai colleghi. E’ solamente grazie a tutti loro, agli eroi silenziosi del quotidiano con il Basco Azzurro a cui va il ringraziamento del SAPPE per quello che fanno ogni giorno, se le carceri reggono alle costanti criticità penitenziarie. Noi, che rappresentiamo chi sta nella prima linea delle sezioni detentive, sappiamo bene che il carcere è un terreno fertile nel quale fanatici estremisti possono far leva sugli elementi più deboli e in crisi con la società per selezionare volontari mujaheddin da inviare nelle aree di conflitto, grazie ad un meticoloso indottrinamento ideologico. Non è infatti un caso la radicalizzazione di molti criminali comuni, specialmente di origine nordafricana, che pure non avevano manifestato nessuna particolare inclinazione religiosa al momento dell’entrata in carcere, che si sono trasformati gradualmente in estremisti sotto l’influenza di altri detenuti già radicalizzati. Eppure, nessuno ha raccolto mai i nostri appelli di avere una formazione e un aggiornamento professionale adeguato. O di riaprire le carceri di Pianosa o dell’Asinara per la detenzione di questi soggetti pericolosissimi. Da anni sosteniamo che per prevenire il problema del radicalismo islamico nelle carcere italiane, anche in relazione all’aumento delle presenze di detenuti stranieri di religione musulmana, bisogna potenziare una formazione ed un aggiornamento professionale “mirato” per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, che stanno in prima linea nelle carceri 24 ore al giorno. Colpevolmente non è stato fatto. Aggiungo che, come primo e più rappresentativo Sindacato della Polizia Penitenziaria, da più di vent’anni chiediamo la realizzazione di corsi ad hoc a fronte di un altissimo numero di detenuti stranieri presenti in Italia (ad oggi oltre 19.200) e nuove assunzioni di Agenti per sanare la carenza di organico di settemila unità. Lo abbiamo chiesto al Ministero della Giustizia ed al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, guidato da Santi Consolo, senza alcun riscontro. Ma, nonostante tutto, le donne e gli uomini appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria hanno fronteggiato e fronteggiato, nelle carceri italiane, il pericolo del radicalismo integralista ogni giorno, con professionalità e senso del dovere, anche attraverso il Nucleo Investigativo Centrale del Corpo, che è un settore di eccellenza anche in questo settore. Lo ha fatto e lo fanno, in carcere, le donne e gli uomini appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, che è l’unica Forza di Polizia del Paese competente nel settore”.
“E non è un caso se, da quando sono stati introdotti nelle carceri vigilanza dinamica e regime penitenziario aperto, gli eventi critici nelle carceri sono decuplicati”, conclude Capece. ““Non ci si ostini a vedere le carceri con l’occhio deformato dalle preconcette impostazioni ideologiche, che vogliono rappresentare una situazione di normalità che non c’è affatto: Gli Agenti di Polizia Penitenziaria devono andare al lavoro con la garanzia di non essere insultati, offesi o – peggio – aggrediti da una parte di popolazione detenuta che non ha alcun ritegno ad alterare in ogni modo la sicurezza e l’ordine interno. E neppure possono rischiare di perdere la vita per la protesta sconsiderata di alcuni sconsiderati”.