Aumentare il PIL del 1% con la normazione tecnica è possibile

Roberto Imbastaro

Rilanciare, per essere sempre più presenti in sede europea e mondiale a favore delle imprese e dei professionisti italiani. Con questa premessa si apre una nuova pagina per l’attività di normazione tecnica volontaria, con una lunga storia alle spalle che ha accompagnato l’industria italiana dagli inizi del ‘900 ad oggi aiutandola ad essere competitiva, innovativa, rispettosa dell’ambiente, socialmente responsabile, a realizzare prodotti-servizi di qualità estendendo il campo di azione alle piccole e micro imprese, al settore dei servizi, alla tutela dei consumatori ed all’efficacia-efficienza delle pubbliche amministrazioni.

In questa fase di spending review per il sistema socio-economico italiano è indispensabile evitare che i tagli possano pregiudicare l’attività degli enti di normazione UNI e CEI. Fatto che si tradurrebbe inevitabilmente in un deficit di rappresentanza nazionale ai tavoli della normazione in sede europea (CEN) e mondiale (ISO) e potrebbe significare:

·        perdere competitività e generare un effetto negativo di lungo periodo difficile da recuperare

·        non sostenere il “Made in” negli aspetti della valorizzazione delle specificità italiane

·        aumentare i costi sociali connessi alla sicurezza (infortuni sul lavoro, salute…) e vanificare lo sforzo che ha ridotto gli infortuni sul lavoro.

 

Occorre passare a una nuova fase in cui la normazione tecnica volontaria diventi sempre più parte attiva della politica economica del Paese, per incidere maggiormente sullo sviluppo: le più recenti ricerche inglesi quantificano in oltre 8 miliardi di sterline l’effetto economico della normazione sulla produttività del lavoro e in oltre 6 miliardi di sterline l’aumento delle esportazioni di prodotti “a norma” e delle imprese che lavorano “a norma”, con aumenti di fatturato tra 1,7% e 5,3% in specifici settori come aerospazio, difesa, alimenti e bevande… (fonte: CEBR 2015). In Germania e Francia l’effetto economico della normazione sul PIL è stimato nell’ordine dello 0,7 – 0,8% del PIL (fonte: DIN 2011 e AFNOR 2009) fino a raggiungere 1% in Nuova Zelanda (fonte: BERL 2011). Questi risultati sono stati raggiunti grazie alla valorizzazione della normazione tecnica volontaria e al suo pieno coinvolgimento nelle politiche economiche dei Governi dei Paesi.

Senza la nostra attività – spiega Piero Torretta presidente UNI – verrebbe a mancare la normazione nazionale che crea gli standard sulla base delle esigenze specifiche della realtà economico-sociale Italiana, ma rimarrebbe comunque attiva la normazione internazionale. Ciò significherebbe che verrebbe a mancare la partecipazione attiva di UNI al CEN ed all’ISO, con la conseguenza di “subire” la normazione e seguire le indicazioni altrui, a scapito delle nostre imprese, dei nostri professionisti, dei nostri consumatori… Noi riteniamo invece necessario rilanciare il ruolo della normazione nazionale rispetto al rischio del taglio delle attività. Per questo auspichiamo che il Governo confermi alla Normazione la possibilità di essere sempre più strumento di aiuto allo sviluppo alla crescita, come avviene in Germania, UK, Francia, USA e UE”. Il coinvolgimento potrebbe avvenire tramite il ricorso sistematico alla co-regolamentazione in cui il Legislatore affida alla normazione la definizione degli elementi sufficienti al raggiungimento degli obiettivi di legge. Considerati i valori caratteristici della normazione (che rendono le norme espressione di un diritto mite, partecipato e rispettoso dei bisogni del mercato), la sua applicazione si integrerebbe perfettamente con la regolamentazione cogente, in una logica di semplificazione, efficacia ed efficienza del sistema a vantaggio della società.

Inoltre, la normazione potrebbe fornire il supporto tecnico-normativo nella predisposizione di provvedimenti legislativi aventi contenuti di normazione, delle leggi di recepimento delle Direttive Europee con contenuti tecnici, nell’implementazione di progetti di concerto con i Ministeri di competenza.

Come avviene in altri Paesi gli enti di normazione potrebbero svolgere il ruolo di “ambasciatore” delle esigenze e delle peculiarità italiane nella formazione di un sistema integrato di regole, cogenti e volontarie al fine di sostenere la crescita e lo sviluppo dell’impresa nei mercati globali, la difesa del modello italiano, la promozione e la diffusione del “Sistema Italia” nel Mercato Unico Europeo e nel WTO.

Il mondo delle imprese conosce bene questi aspetti e partecipa costantemente sia all’elaborazione sia all’applicazione delle norme.

Secondo il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci "la normazione rappresenta un processo responsabile nell’infrasruttura tecnologica ed economica del Paese ed é ormai un attore fondamentale della politica industriale. Inoltre, favorisce il processo di innovazione attraverso la definizione del quadro di riferimento in cui si sviluppano nuovi prodotti e, diffondendo conoscenza e tecnologia, é utile anche alla prevenzione degli incidenti sul lavoro. In quest’ottica, é importante sostenere l’attività di Uni, evitando di ridurre il contributo che la legge prevede di destinare a quest’Ente".

Il Mise – spiega Gianfrancesco Vecchio Direttore generale Ministero dello sviluppo economico – crede molto al ruolo della normazione che garantisce un’ampia partecipazione e si concretizza nell’autoregolamentazione, ha effetto diretto sull’economia e sulla società migliorando la sicurezza e la fiducia dei consumatori. Uni e Cei non solo producono norme nazionali e adattano quelle internazionali ma ci rappresentano in sede europea e internazionale, proponendo norme di interesse per il nostro Paese. Auspico che nel loro ruolo futuro Uni e Cei possano essere sempre piú chiamati a completare il quadro normativo, con un legislatore che si limiti a fissare principi e obiettivi. Noi siamo convinti che debba continuare ad esistere un contributo pubblico agli enti di normazione, accompagnato da un impregno delle imprese e una razionalizzazione degli enti stessi”.