Carceri, due suicidi in meno di 24 ore, a Pisa e Torino

redazione

Due detenuti suicidi in meno di 24 ore portano drammaticamente d’attualità il tema della invivibilità delle carceri italiane. Dura la presa di posizione del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri.
“Due detenuti suicidi in cella di altrettante carceri in meno di 24 ore, quasi 40 dall’inizio dell’anno, testimoniano la drammaticità che caratterizza le carceri italiane”, denuncia il Segretario Generale del SAPPE Donato Capece. “Non ci si ostini a vedere le carceri con l’occhio deformato dalle preconcette impostazioni ideologiche, che vogliono rappresentare una situazione di normalità che non c’è affatto”.
Entrambi si sono tolti la vita nella propria cella, stringendosi un rudimentale cappio al collo. A Torino il suicida è un detenuto croato di 37 anni mentre a Pisa è un tunisino di 22 anni ad essersi ucciso.
Su Pisa, in particolare, il SAPPE denuncia che “il poliziotto penitenziario era di servizio in tre diverse Sezioni detentive contemporaneamente, vista la carenza di Personale che da tempo il SAPPE denuncia ma che non è mai stata risolta in sede ministeriale. E sono comunque inaccettabili le violenze poste in essere dagli altri detenuti del carcere pisano dopo la notizia del suicidio del ristretto”.
Il SAPPE torna a chiedere l’intervento del Ministro della Giustizia Andrea Orlando per affrontare la questione penitenziaria che per il SAPPE rimane un’emergenza: ““Da quando sono stati introdotti nelle carceri vigilanza dinamica e regime penitenziario aperto, sono decuplicati eventi gli eventi critici in carcere”.
“Se è vero che il 95% dei detenuti sta fuori dalle celle tra le 8 e le 10 ore al giorno, è altrettanto vero che non tutti sono impegnati in attività lavorative e che anzi trascorrono il giorno a non far nulla”, prosegue. “Basti pensare che solamente nei primi sei del 2017 ci sono stati nelle carceri italiane 22 suicidi di detenuti, che sono diventati ad oggi quasi 40, 567 tentati suicidi, 4.310 atti di autolesionismo, 3.562 colluttazioni e 541 ferimenti. Questo a testimoniare la tensione che continua a caratterizzare le carceri, al di là di ogni buona intenzione. Le carceri sono più sicure assumendo gli Agenti di Polizia Penitenziaria che mancano, ben 8mila in meno rispetto all’organico previsto, finanziando gli interventi per potenziare i livelli di sicurezza delle carceri. Altro che la vigilanza dinamica, che vorrebbe meno ore i detenuti in cella senza però fare alcunchè. Non ci si ostini a vedere le carceri con l’occhio deformato dalle preconcette impostazioni ideologiche, che vogliono rappresentare una situazione di normalità che non c’è affatto. Gli Agenti di Polizia Penitenziaria devono andare al lavoro con la garanzia di non essere insultati, offesi o – peggio da una parte di popolazione detenuta che non ha alcun ritegno ad alterare in ogni modo la sicurezza e l’ordine interno. Non dimentichiamo che contiamo ogni giorno gravi eventi critici, episodi che vengono incomprensibilmente sottovalutati dall’Amministrazione Penitenziaria”.
“Un detenuto che muore o che, peggio, si toglie la vita in carcere è una sconfitta dello Stato e dell’intera comunità”, conclude Capece. “Il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 21mila tentati suicidi ed impedito che quasi 168mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di Polizia Penitenziaria e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”.