Cop26, Greta Thunberg detta l’agenda ai grandi della Terra. “No more bla bla bla”

Giacomo de Santis

Dal flop del G20 di Roma alla debacle di COP26 il passo è breve, a sottolineare questa enorme messa in scena che non porterà a nessun atto concreto ma lastricherà il cammino, verso una presa di coscienza della drammaticità della situazione globale, solo di buoni propositi lo testimoniano i continui cambi di obiettivi e l’assenza fondamentale dal summit dei maggiori responsabili di questa situazione estremamente pericolosa per il pianeta, Russia, Cina e il tentativo di India ed altri paesi di spostare la discussione da una data certa con relativo impegno delle singole nazioni per arrivare ad una dismissi0one totale di CO2 nell’atmosfera, su impegni che evitino di dover studiare un piano di riconversione industriale ed energetico titanico e quindi poco  realizzabile.

E’ in questa ottica che al summit si è iniziato a parlare di agricoltura, riforestazione e tutela del verde esistente e anche in questi aspetti si nasconde una minaccia concreta per una corretta e sana alimentazione.

Per combattere il cambiamento climatico e costruire un sistema economico e politico più equo, è stata indetta per oggi la giornata dedicata alla natura e all’uso del suolo. 45 paesi guidati dal Regno Unito, si sono impegnati ad investire complessivamente 4 miliardi di dollari in azioni per proteggere la natura e passare a sistemi agricoli più sostenibili…e fin qui tutto bene, ma cosa ne sarà della nostra agricoltura tradizionale e delle qualità organolettiche dei frutti della terra? Cominciamo con capire a cosa serviranno i 4 miliardi promessi “a sostegno dell’agricoltura” il documento redatto ci dice che saranno spesi per sviluppare sementi resistenti al cambiamento climatico e in soluzioni per migliorare la salute del suolo. Questo obiettivo però ci dice anche un’altra cosa e cioè che cambieranno anche le nostre abitudini alimentarie allora l’associazione di obiettivi diventa palese: quanto questa riconversione agricola è direttamente collegata con il famoso Nutri-Score provvedimento che tanto penalizza i nostri prodotti più genuini e a scontrarsi non solo due scuole di pensiero ma due modi opposti di considerare gli alimenti e il loro apporto nutrizionale.

Sempre nell’ambito dei lavori del summit altri 10 paesi si sono impegnati a considerare area protetta almeno il 30% delle loro riserve marine. Si tratta di Barhain, Giamaica, St. Lucia, Sri Lanca, Arabia Saudita, India, Qatar, Samoa, Tomga, Gambia e Georgia.

Questi tanti dossier (e buoni propositi) sono stati oggetto di un pressante appello, da parte del presidente britannico della COP26, Alok Sharma,  a concretizzare e chiuderne “il maggior numero possibile” entro questa sera in modo da poter passare, la prossima settimana, al negoziato “sulle conclusioni” da finalizzare in un documento per venerdì prossimo.

Ma tornando all’argomento principale che ha catalizzato la discussione tra i grandi della terra sia al G20 di Roma che a COP26 a Glasgow e cioè l’impegno da parte di tutti i singoli paesi sul contenimento delle emissioni nocive, cruciali  per mantenere o meno l’obiettivo del contenimento entro il tetto di 1,5 gradi in più rispetto alle temperature medie globali dell’era pre-industriale.

Dopo il forte richiamo a passare dal “Bla Bla Bla” ai “fatti concreti” per evitare il peggiore degli scenari nel corso dei prossimi decenni si sono moltiplicate, in tutto il mondo, le manifestazioni dei giovani ambientalisti preoccupati soprattutto per le doti indubbie dei potenti di “predicare bene e razzolare male”.

Marce per il clima sono infatti previste in questi giorni a Sydney, Parigi, Londra, Dublino, Stoccolma, Nairobi, Città del Messico e in decine di altre città in tutti i continenti. 

Non mancheremo di documentare lo scenario dentro e fuori il Summit nel prossimi giorni fino alle conclusioni finali.