DAP: il 95% dei detenuti è in “custodia aperta” e trascorre 8 ore in spazi comuni

redazione

I recenti e reiterati articoli di stampa che riportano nei titoli l’allarme
“sovraffollamento delle carceri” possono ingenerare nell’opinione pubblica
il convincimento erroneo di tale asserita rilevante criticità che nei fatti
non sussiste.

L’Amministrazione Penitenziaria attualmente stabilisce la capienza
regolamentare secondo i parametri calcolati in base al DM del Ministero
della Sanità 5 luglio 1975, per il quale la superficie delle celle singole
non può essere minore di 9mq mentre per le celle multiple sono previsti 5mq
aggiuntivi per ciascun detenuto.

Se l’Italia calcolasse i numeri di posti detentivi regolamentari disponibili
in maniera conforme agli indici medi internazionali, fruirebbe di un numero
di posti regolamentari superiore al numero di detenuti presenti.

Con i miglioramenti apportati nell’ultimo anno, il 95% dei detenuti è in
“custodia aperta” e trascorre tra le otto e le dieci ore in spazi comuni,
fuori dalle camere di pernottamento, impegnati in attività trattamentali e
di sostegno. La custodia aperta progressivamente si sta estendendo anche ai
detenuti dell’alta sicurezza.

Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria chiarisce, inoltre, che i
risarcimenti agli ex detenuti che si sono appellati alla CEDU per
trattamento inumano e degradante sono risalenti nel tempo, quando
effettivamente sussisteva il problema del sovraffollamento ormai
definitivamente superato. 

Per quanto riguarda le cause promosse da ex detenuti per periodi detentivi
passati, dai dati in possesso del Dipartimento si evince che, dei 1617
ricorsi presentati, non risultano ancora esaminati dalla magistratura
ordinaria 1276 ricorsi, solo 126 sono stati accolti mentre 215 sono stati
rigettati o comunque non accolti per motivi procedurali.

Va precisato che l’art. 35 ter O.P. (quale risultante dall’intervento del
decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92 coordinato con la legge di conversione
11 agosto 2014, n. 117) espressamente ha previsto il termine di sei mesi per
la proposizione del ricorso risarcitorio, decorrenti dalla cessazione dello
stato detentivo o della custodia cautelare in carcere; ciò significa che il
trend si intende esaurito. Inoltre, dal rapporto annuale per il 2015 della
CEDU – Strasburgo 28 gennaio 2016 – è emerso come il numero dei ricorsi
italiani sia pari all’11,6% del totale dei casi pendenti alla Corte di
Strasburgo per i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa e che un numero così
basso di ricorsi italiani non si registrava dal 2009. Le condanne
riguardanti l’Italia sono state appena 20 a fronte di un totale complessivo
per tutti gli Stati membri di 692.