Il dilemma di Kirill. Il Patriarcato di Mosca tra politica e religione

Lorenzo Della Corte

Nel mondo ortodosso, più che in altri, quel che conta non sono tanto le cose in sé stesse, ma il modo in cui esse vengono percepite. La geografia sacra, con il proprio immaginario prodotto dai luoghi, dalle terre, dai simboli e dalla loro valenza emotiva può avere la forza di imporsi su logiche politiche e prospettive razionali. 

Un uomo, più di altri, ha aiutato a rievocare tali prospettive, coadiuvando il revanscismo putiniano e rendendo, così, concreto lo scenario geo-religioso del territorio post-sovietico. Quest’uomo è il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’: Kirill I.

Salito al soglio patriarcale nel gennaio 2009, Vladimir Michajlovič Gundjaev è una figura fondamentale nel pantheon moscovita. Infatti, è grazie alla sua vigorosa ed energica attività se, dalle macerie dell’ateismo sovietico, è stata restaurata l’antica sinfonia bizantina tra trono e altare.

Il fil rouge della συμφωνία ha visto religione e nazione procedere insieme, formando una sinergia attiva che si è esplicata in un continuo aiuto reciproco. La Chiesa, infatti, è percepita dai russi, come dichiarato dal patriarca Kirill, gosustanovitel’naja, ovvero quella forza che edifica lo Stato. 

L’ortodossia, difatti, ha agito quale mythomoteurs della geopolitica russa persuadendo e indirizzando la politica zarista in età imperiale, soccorrendo il potere sovietico nel momento del bisogno e, agli albori della presidenza putiniana, si è mostrata quale collante fondamentale per la Federazione Russa, agendo come promotore della mobilitazione interna.

In questo intricato sovrapporsi tra religione e politica, il Patriarca di Mosca si trova di fronte a un dilemma di non facile soluzione: continuare ad agire come il braccio spirituale del Cremlino oppure tentare di promuovere una conciliazione tra le due anime del proprio gregge.

Il dilemma sorge poiché se da un lato il Primate moscovita è legato al Cremlino con un patto di sangue in difesa della tradizione contro il modernismo che proviene da Occidente, dall’altro l’invasione delle truppe russe ha, per ovvie ragioni, destabilizzato la comunità di fedeli del patriarcato di Mosca che, a differenza di quel che accade in ambito politico, travalica i confini nazionali e tiene unite le due anime slave nate alla foce del Dnepr.

La gravità della questione risulta evidente tenendo in considerazione un semplice dato: il Patriarcato di Mosca, che rappresenta il 70% dell’ortodossia mondiale, è composto al 35% di fedeli ucraini che, qualora dovessero decidere di recidere il legame con il Primate russo e unirsi alla Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Kiev, comporterebbero un’emorragia di fedeli tale da ridimensionare il peso politico e religioso di Mosca. 

La frattura religiosa risulta ancora più evidente tenendo in considerazione le parole del metropolita Onufri che, pur essendo in comunione con la Cattedrale di San Basilio, ha rivendicato la sovranità territoriale ucraina e ha chiesto a Kirill di dismettere l’abito di cappellano del Cremlino e farsi portavoce delle ragioni della pace.

«Bisogna difendere la sovranità e l’integrità dell’Ucraina, facciamo appello al Presidente della Russia e gli chiediamo di fermare immediatamente la guerra fratricida», ha affermato il metropolita. «I popoli ucraino e russo sono usciti dal fonte battesimale del Dnepr, e la guerra tra questi popoli è una ripetizione del peccato di Caino, che per invidia uccise suo fratello. Una simile guerra non ha giustificazione né da parte di Dio né dalle persone».

Da domenica scorsa, inoltre, il già precario equilibrio della comunità ortodossa è stato scosso dalla decisione di molti pope ucraini di non pronunciare, durante le divine liturgie, il nome del patriarca Kirill. Gesto che ha trovato la ferma disapprovazione della Chiesa ortodossa di Russia: «smettere di ricordare il Primate della Chiesa non a causa di errori dottrinali o canonici ma per incoerenza per certe opinioni e preferenze politiche, è uno scisma di cui tutti coloro che lo commettono risponderanno davanti a Dio e non solo domani, ma anche oggi».

Non è più sufficiente, dunque, per il clero ucraino fedele a Mosca la preghiera di Gundjaev in difesa dei civili, essi richiedono una parola di condanna per le scelte del Cremlino. Kirill, dunque, si trova in un ginepraio: quale potere scegliere tra quello spirituale e quello temporale?