Il Pentagono diventa ecologista

red

Il Pentagono sta valutando l’utilizzo di nuove tecnologie in grado di produrre energia da fonti rinnovabili per sostenere le operazioni belliche. A spingere le forze armate statunitensi verso questa svolta "verde" non è tanto il rispetto per l’ambiente quanto ragioni finanziarie e operative, come racconta Elisabeth Rosenthal sul New York Times. Rifornire di carburante i reparti impegnati in missioni all’estero ha infatti costi sempre più alti, non solo per il prezzo dei combustibili ma per le difficoltà logistiche legate a far transitare e scortare convogli di cisterne in aree spesso minacciate da miliziani e banditi. Il costo di gallone di benzina, che il Pentagono paga un dollaro, può salire fino a 400 per farlo arrivare negli avamposti afghani più remoti. In Iraq e Afghanistan, solo per la protezione dei convogli, sono stati pagati miliardi di dollari all’anno a società di sicurezza private. Secondo uno studio dell’Us Army muore almeno un soldato o un contractor civile per ogni 24 convogli di carburante. Le operazioni in paesi privi di sbocchi al mare, come l’Afghanistan, aumentano costi e difficoltà e rendono le forze alleate vulnerabili anche sul piano strategico. Basti vedere gli effetti del blocco imposto ormai da una settimana dal governo pakistano al transito dei camion di rifornimenti (incluse le autocisterne) diretti alle basi alleate in Afghanistan. Una "rappresaglia" per gli sconfinamenti delle truppe della Nato che colpiscono i talebani anche nell’Area Tribale pakistana. L’impiego su vasta scala di fonti di energia rinnovabile ridurrebbe la necessità di carburante di origine fossile alle sole esigenza di alimentazione dei mezzi, quantità certo considerevoli ma assai inferiori a quelle richieste oggi per sostenere basi che ospitano complessivamente 150 mila militari e decine di migliaia di contractors. I 150 marines della Compagnia I, Terzo battaglione del Quinto reggimento sono arrivati da pochi giorni nella provincia afghana di Helmand equipaggiati con nuovi materiali per attrezzare un accampamento a basso impatto ambientale: pannelli solari portatili, luci a consumo ridotto, tende che forniscono energia elettrica, batterie solari per i computer e altri mezzi di comunicazione. Al momento si tratta di un test operativo per valutare prestazioni ed efficacia degli equipaggiamenti ma il Pentagono è pronto a finanziarie l’acquisto di dotazioni simili per altri reparti di marines. Il colonnello Robert Charette Jr, direttore dell’Energy Office del Corpo dei Marines, si è dichiarato "cautamente ottimista" circa l’esito dei test degli equipaggiamenti sperimentali della Compagnia I, costati circa 70 mila dollari e provati durante l’estate in un’area addestrativa nel deserto del Mojave. Anche la Marina punta a dotare Us Navy e Corpo dei Marines di sistemi d’energia da fonti rinnovabili in grado di coprire la metà del fabbisogno entro il 2020. L’anno scorso ha sperimentato su una portaelicotteri da assalto classe Wasp, la Makin Island, una motorizzazione ibrida che consente la propulsione elettrica alle basse velocità risparmiando quasi un milione di galloni di nafta in una crociera, e da due mesi è arrivata la prima fornitura di carburante prodotto da alghe marine. In tema di biocombustibili anche l’Aeronautica sta facendo passi da gigante: dal 2011 tutti i suoi velivoli saranno certificati per il loro impiego mentre sono stati effettuati test di volo con una miscela composta per metà da "jet fuel" tradizionale e per metà da carburante di origine vegetale. In valutazione anche un impianto campale mobile per produrre sul posto biocombustibili a partire da coltivazioni locali che potrebbe aumentare ulteriormente l’autonomia delle basi.