L’introduzione iniziale della virtualizzazione è stata alimentata da esigenze di consolidamento dei server e di maggiore efficienza in termini di costi; la seconda fase di adozione della tecnologia pone però delle sfide rispetto alle tradizionali procedure di backup e ripristino, poiché gli utenti tentano di applicare processi di backup e ripristino d’emergenza consolidati ai nuovi ambienti ibridi. “La prima generazione di virtualizzazione di server e workstation non nasceva solo da esigenze di backup, ma principalmente da esigenze economiche. Progredendo con l’adozione della tecnologia, abbiamo appreso che le soluzioni di backup per i server fisici tradizionali non sono adeguate al backup delle macchine virtuali. Molte richiedono l’utilizzo di un’applicazione agent-based, che consuma preziose risorse di elaborazione sulle macchine virtuali. L’avvio simultaneo di backup agent-based può causare gravi malfunzionamenti delle macchine virtuali, perfino il guasto completo dell’host fisico sottostante.
La prossima fase della virtualizzazione deve necessariamente prevedere delle best practice di backup adatte agli ambienti ibridi”, afferma David Junca, General Manager Southern Europe, di Acronis.
Come compromesso, vengono adottati software agent-based che forniscono alcune delle funzionalità richieste per il backup e il ripristino in ambienti virtuali. Queste scorciatoie tuttavia sono difficilmente praticabili, poco efficaci, ed aumentano il costo dei programmi di virtualizzazione. Combinate alla complessità di gestione dei dati in ambienti fisici, virtuali e su cloud, queste problematiche rappresentano dei potenziali ostacoli verso la fase futura della virtualizzazione. Per beneficiare appieno della virtualizzazione di prossima generazione, Acronis suggerisce ai manager IT che gestiscono backup e recovery in ambienti virtuali quanto segue:
– Per portare a termine con successo il processo di virtualizzazione, è necessario implementare su tutte le macchine virtuali una strategia di backup e disaster recovery coerente e robusta come quella applicata ai server fisici, soprattutto quando la macchina virtuale supporta un’applicazione produttiva.
– Per raggiungere gli obiettivi RPO (Recovery Point Objective) e RTO (Recovery Time Objective), il backup di ogni macchina virtuale deve essere eseguito frequentemente e in maniera indipendente. È il modo migliore per garantire che il backup più recente del server di produzione sia il più aggiornato possibile.
– I backup basati su immagine garantiscono il ripristino rapido su cloud. Consentono inoltre di recuperare integralmente l’intera macchina virtuale, incluso il sistema operativo ospite e le impostazioni di configurazione. Il recovery basato su file o blocchi consente di ripristinare soltanto i dati. L’intera macchina virtuale dovrà quindi essere configurata e reimportata su cloud prima che i dati possano essere recuperati e resi di nuovo disponibili agli utenti. Per evitare ciò, si può creare un’immagine completa del sistema della macchina virtuale, da utilizzare come macchina virtuale in standby.
– È bene impiegare la tecnologia di backup del server virtuale progettata sin dal principio in modalità agentless. Invece di richiedere un backup agent per ogni macchina virtuale o un costoso proxy server con lo spazio sufficiente per il backup dell’immagine del sistema, in alcuni software serve soltanto un agente per ogni host fisico, a patto che possa supportare tutti i server virtuali presenti sull’host.
– Le stesse regole si applicano in ambiente virtuale e fisico. Se già si esegue il backup dei dati fisici nel cloud, è consigliabile eseguirvi anche il backup delle macchine virtuali, così da sfruttare appieno il backup offsite, conveniente anche dal punto di vista economico.