La Propaganda antagonista, comunicare nel Cinquecento

Lorenzo Della Corte

I governanti, nel corso dei tempi, hanno avuto molteplici modi per declinare il proprio potere politico e preservare la propria autorità. Nel corso della prima età moderna, per esempio, lo strumento prescelto dal potere per governare il popolo è stata la censura. Tale modalità di controllo, però, non fu l’unico strumento utilizzato da chi reggeva il regno o la città.

Infatti, nonostante vi sia il rischio di incorrere in un’aporia, essendo lampante l’anacronismo, ci sono studi che parlando di propaganda nella prima età moderna in due accezioni, una è definita come la vaghezza di immagini e testi volti a giustificare e/o glorificare un particolare regime politico, l’altra, invece, è riconducibile alla “propaganda antagonista”.

A tal proposito, si può parlare di propaganda antagonista partendo dagli studi di Robert Scribner che definiscono tale modello comunicativo come la volontà di demonizzare il proprio nemico al fine di fomentare tumulti e ledere l’unità politica dei governi avversi.

Nel Cinquecento, prendendo in considerazione quanto descritto da Paolo Sarpi, era considerata una strategia vincente il mettere a nudo i difetti dell’avversario e declassare la sua reputazione cosicché si potesse “rintuciarli il filo e levargli la forza”. Secondo i dettami della strategia comunicativa descritta da Sarpi, risultava conveniente e necessario adottare politiche offensive in queste guerre di versi, poiché era regola tra i “buoni capitani” e i “buoni scrittori” reputare che “nelle battaglie armate, quanto anco nelle litterarie, non ci è maggior miseria che stare sopra la sola deffesa”, si riteneva, dunque, utile attaccare l’avversario e mettere alla berlina le “imperfezzioni” della parte avversa, evidenziando come esse fossero “maggiori e più dannabili assai” rispetto a quelle della propria compagine. 

Fedele a tale strategua, Sarpi la utilizzò in maniera vincente durante l’Interdetto che colpì Venezia nel 1606. La denigrazione del nemico era totale, investiva tutti i livelli della popolazione, soprattutto era rivolta nei confronti dei ceti più umili, i quali venivano “indottrinati” con libelli, stampe, sonetti che, come disse Christian Jouhaud, erano “letteratura d’azione” in quanto destinati a produrre effetti concreti. 

Scribner, nel corso dei propri studi, strutturò la sua teoria riferendosi ad un caso specifico, ovvero alla propaganda luterana. I protestanti, difatti, la utilizzarono inondando le città della Germania con opuscoli e fogli volanti destinati a veicolare, in maniera elementare, la contrapposizione tra le posizioni riformate e le posizioni di Roma. La propaganda riformata aveva l’obiettivo di esemplificare un concetto complesso, rendendolo più intuitivo possibile attraverso l’utilizzo di stereotipi, per poi ricondurlo alla semplice distinzione tra bianco e nero, tra bene e male.

Testimonianza di tale propaganda fu il Triumphus veritatis, un’illustrazione satirica del 1524. Si tratta di un’immagine complessa che mostra il trionfo della fede luterana su Roma. Vi è rappresentata l’entrata in una città, non identificata, di Cristo e del proprio corteo, che si compone dell’arca della Sacra scrittura, del carro del figlio di Dio, trainato dai quattro apostoli, ai cui fianchi marciano, come guardia d’onore, i campioni della Riforma, Carlostadio e Lutero. La città è in festa, bambini danzano e posano fiori sul passaggio del corteo, i magistrati cittadini e il popolo tutto è in estasi per la vittoria della verità sulla falsa istituzione diabolica dalla Chiesa di Roma, la quale, attraverso il Papa, i vescovi e altri appartenenti alla curia romana, viene mostrata deforme ed incatenata al destriero del cavaliere Hutten.