Le imprese e il procurement: una ricerca Jaggaer rivela che solo il 2% gestisce i fornitori in digitale

 La funzione procurement è chiamata ad un ruolo sempre più strategico nei processi aziendali: è questa una delle principali evidenze della ricerca condotta dalla società di consulenza per l’innovazione IPG Group, con sede in Svizzera, e JAGGAER, multinazionale leader nello spend management. Svolta nel secondo semestre 2020 a distanza da 4 anni dalla precedente, la ricerca Procurement Performance Excellence (PPE) ha coinvolto 290 Chief Procurement Officer, direttori degli acquisti e altri decisori a livello esecutivo di aziende di tutti i settori a livello internazionale, di cui l’11% in Italia.

L’aspetto più interessante di questo ricco rapporto è che gli acquisti sono visti in modo sempre più strategico rispetto a 4 anni fa. I CPO stanno scalando la gerarchia aziendale, una chiara dimostrazione del ruolo fondamentale riconosciuto al procurement per sostenere il cambiamento, l’investimento e la progettualità aziendale“” commenta Daniele Civini, Head of Sales di JAGGAER Italia. “Ma questa evoluzione risulta non essere ancora sufficientemente supportata da un’adeguata maturità digitale, certamente in Italia ma anche nel resto del mondo”.

I dati, che verranno presentati in un webinar il 21 aprile e commentati insieme a Roberta Miraglia, giornalista de Il Sole 24 Ore, evidenziano in modo chiaro che, sebbene le nuove tecnologie digitali siano al centro dell’attenzione degli executive aziendali, le funzioni procurement non ne stanno ancora cogliendo tutte le potenzialità: ad esempio il 68% delle aziende intervistate dichiara di aver implementato soluzioni di Supplier Relationship Management ma solo il 2% gestisce la relazione interamente in digitale e ben il 30% non utilizza alcuna soluzione.
  
 
Stupisce anche l’apparente basso interesse per le tematiche di gestione dei rischi di fornitura: oltre un terzo degli intervistati afferma che la propria organizzazione non ha programmato l’automazione dei processi di risk management, a fronte di un modesto 15% che, invece, lo ha già automatizzato. Un dato sorprendente, soprattutto in momenti di turbolenza come l’attuale, in cui l’attenzione alla mitigazione del rischio dovrebbe aumentare per cercare di arginare effetti devastanti quali, ad esempio, l’interruzione della produzione a fronte di mancate consegne da parte dei fornitori “rallentati” dalla pandemia.

“Il 2020 è stato un anno anomalo e certamente alcuni risultati sono stati influenzati dall’effetto Covid: è verosimile che le aziende abbiano spinto per la digitalizzazione di quelle funzioni che consentissero loro di superare la tempesta, ad esempio facilitando il lavoro a distanza e lo scambio di documenti paperless, sospendendo momentaneamente un approccio più strategico al tema della trasformazione digitale” conclude Civini. “Solo il 17%, ad esempio utilizza soluzioni di business intelligence per la creazione di scenari simulati e un minuscolo 2% strumenti per l’analisi predittiva: auspichiamo che questa percentuale aumenti significativamente poiché le turbolenze del business continueranno ad aumentare rendendo le previsioni sempre più critiche per un pieno controllo degli acquisti”.