Le uniformi portano la pace attraverso lo sport

Adria Pocek

Gianni Gola è da dieci anni alla guida del Cism, il Consiglio internazionale dello sport militare. In questa intervista ci racconta come, attraverso la partecipazione agli eventi sportivi internazionali, donne e uomini in divisa provenienti da tutti i Paesi si incontrano e dialogano tra loro, a conferma che lo sport è una lingua universale, ma soprattutto uno strumento efficace per superare le barriere culturali.

Quale importanza ha lo sport per le persone in divisa?

Il Cism, Consiglio internazionale dello sport militare, quest’anno compie 60 anni: l’organizzazione fu fondata da cinque Paesi europei all’indomani della seconda guerra mondiale con lo scopo (come recita il primo articolo dello statuto) di utilizzare lo sport per riunire in pace le Forze armate di tutti i Paesi del mondo. Un obiettivo coraggioso e lungimirante, soprattutto se rapportato a un periodo storico come il ’48, in cui la realtà del mondo era molto complessa poiché era appena terminata la guerra.
Il Cism persegue questo scopo organizzando ogni quattro anni i Giochi mondiali militari e ogni anno decine di eventi sportivi di livello mondiale che mobilitano non meno di diecimila atleti militari di tutti i Paesi del mondo. Dopo sessant’anni abbiamo consolidato questa capacità di fare incontrare quasi ogni giorno atleti di tutte le nazionalità e reso operativo un sistema che ormai funziona praticamente da sé grazie alla motivazione che le Forze armate dei Paesi membri dimostrano nei confronti dello sport militare. Ma negli ultimi anni lo sport militare mondiale si è accorto anche che, grazie a questa capacità, è possibile puntare a obiettivi ancora più ambiziosi, come per esempio la solidarietà tra i Paesi membri, l’assistenza tecnica, lo sviluppo e la pace. Risale a qualche anno fa il convegno organizzato dal Cism nel corso del quale i Paesi coinvolti sono stati invitati a offrire prove concrete di come sia possibile, attraverso lo sport, da un lato continuare a educare decine di migliaia di giovani militari alla comprensione reciproca, all’accettazione degli avversari provenienti da Paesi lontani e spesso non alleati, dall’altra svolgere un ruolo nelle azioni di peacekeeping, le attività che le Forze armate dedicano al mantenimento o al ristabilimento della pace nelle zone in cui è stata infranta o rischia di essere infranta. In questo senso sono state prodotte testimonianze straordinarie di come i contingenti di pace siano stati in grado, attraverso lo sport, di riprendere normali relazioni tra Paesi che sono stati in conflitto. Guardando al futuro sarà questa la nuova frontiera dello sport militare internazionale: lo sport per la pace.

Ci racconta come sono andati gli ultimi Giochi militari mondiali in India?

L’India è entrata nel Cism solo nel 1999 e si è subito candidata a organizzare, nel 2007, la quarta edizione delle Olimpiadi militari, che si sono svolte nella città di Haidarhabad, capitale della provincia di Handra Pradesh, nel sud est del Paese; una città con dieci milioni di abitanti e il quaranta per cento di presenza musulmana, dove, poche settimane prima dei Giochi, un attentato terroristico ha causato sessanta vittime.
Le forze armate indiane, che contano un milione e mezzo di soldati, hanno organizzato questo evento nell’ottobre scorso e per la prima volta nella storia le Forze di 101 Paesi partecipanti e cinque Paesi osservatori si sono riunite nello stesso stadio. Durante i giochi il Cism ha inoltre organizzato, insieme al Cio, un forum mondiale su "Sport e pace" e al termine della giornata di lavori è stata redatta una risoluzione finale il cui testo è stato sottoscritto da tutti i partecipanti. E’ stata la prima volta che le forze armate di tanti Paesi hanno condiviso un appello per la pace alle istituzioni internazionali e alle singole Forze armate perché venga sempre più utilizzato lo sport come strumento di pace.

Era presente anche l’Afghanistan?

Sì, e le sue squadre, tra cui quella di calcio che, oltre ad essere la nazionale militare è anche la nazionale assoluta. Gli atleti afghani sono stati trasportati da Kabul a Haidarabad a bordo di aerei militari indiani e la loro partecipazione è stata finanziata dalle Forze canadesi. Un bell’esempio di cooperazione e solidarietà internazionale

Dunque, pur indossando la divisa, si può veicolare un messaggio di pace attraverso uno strumento inusuale come lo sport?

Da militare, ma anche da cittadino, ritengo sia sbagliato vedere nelle uniformi esclusivamente l’aspetto legato ai conflitti. Accade che chi opera in uniforme sia in grado di assicurare non solo la difesa del proprio Paese, ma anche le normali relazioni tra gli altri. E questo è ancor più vero quando si evoca lo sport. Posso testimoniarlo con il ruolo che ho il privilegio di svolgere da dieci anni: lo sport aiuta a educare, poiché vi sono atleti militari che mai avevano varcato i confini del proprio Paese né conosciuto militari di altre nazioni se non per ragioni di conflitto ed ora lo hanno fatto accettando le regole dello sport.
In questo contesto l’Italia ha giocato un ruolo fondamentale: la prima edizione dei Giochi mondiali militari è stata inaugurata a Roma nel 1995 grazie al Coni e allo Stato maggiore della difesa. Durante la cerimonia di apertura tutti gli atleti partecipanti, circa seimila e di tutte le religioni, sono stati ricevuti da Papa Giovanni Paolo II nella Sala Nervi. In quell’occasione il santo Padre lanciò un messaggio importante che l’indomani finì in prima pagina sull’Osservatore romano: Guerra alle guerre, grazie allo sport militare.