“Il nostro Paese sconta ancora un gravissimo ritardo culturale e sociale, ma soprattutto di politiche sanitarie, per quanto riguarda la lotta a ogni tipo di intolleranza e di discriminazione. Questa giornata ci offre l’occasione per riflettere sulle vie da percorrere per garantire a tutti il pieno rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà civili, a partire dalla libertà dell’orientamento sessuale che non può e non deve essere, come purtroppo ancora oggi troppo spesso accade, motivo di emarginazione o stigma”.
Lo afferma Rosaria Iardino, presidente della Fondazione The Bridge, in occasione della Giornata mondiale contro l’omofobia, bifobia e transfobia.
“La nostra Fondazione è da tempo impegnata – continua Iardino – nel diffondere la cultura del diritto e a contrastare questa forma di pregiudizio sociale ancora fortemente radicato nella nostra società. Per questo abbiamo lavorato per mettere in rete tutte le associazioni di rappresentanza e aprire con loro un dialogo trasversale, promuovendo diverse azioni alcune delle quali legate alla disforia di genere, che si rileva quando esiste una profonda incongruenza tra il genere sessuale attribuito al momento della nascita e quello che invece una persona sente. Tra queste azioni rientra l’aver interloquito con Aifa affinché fossero inseriti tra i farmaci erogati dal SSN quelli per il trattamento delle persone in transizione di genere e per poter cambiare la procedura che consente ai minori l’accesso a tali farmaci”.
“Il modo migliore per affrontare e superare l’arretratezza del nostro Paese su questi temi – prosegue la presidente della Fondazione The Bridge – passa anche attraverso una questione di salute. In Italia esiste una legge che consente di avviare la transizione, ma perché questa legge sia attuata in pieno è necessario che il SSN garantisca a chi intraprende il percorso il pieno accesso ai farmaci, senza distinzioni che dipendano da reddito o appartenenze regionali”.
“Ad oggi questa è una realtà non del tutto applicata, cui si aggiungono la mancanza di un adeguamento delle regioni sulla presenza di centri di riferimento, e la mancanza di formazione dei medici di medicina generale. Il pieno riconoscimento dei diritti passa anche dall’accesso alla salute per tutti”, conclude.