Papa Francesco non incontrerà Kirill, il patriarca di Mosca, né porterà la propria testimonianza a Kiev: «La diplomazia vaticana ha capito che non è il momento giusto».
Nonostante il rammarico del Santo Padre, non vi sarà alcuna visita in terra ucraina né alcun incontro con il vertice del clero ortodosso. A dare notizia della decisione del corpo diplomatico della Santa Sede è stato il Papa in persona che, in un’intervista rilasciata al quotidiano argentino La Naciòn, ha dichiarato che, nonostante egli sia un entusiasta promotore del dialogo interreligioso, ha dovuto accogliere suo malgrado la decisione della Nunziatura apostolica al fine di evitare di generare ulteriore confusione o spiacevoli fraintendimenti che avrebbero potuto essere di intralcio alla costante azione diplomatica svolta dal clero di Roma.
Infatti, la scelta di rinviare l’incontro programmato a Gerusalemme il prossimo giugno, ha voluto precisare Bergoglio, non è sintomo di un disinteresse della Chiesa di Roma, in quanto il Papa si è dichiarato pronto a tutto pur di raggiungere la pace, ma al contrario è una ponderata scelta diplomatica ritenuta più proficua per l’unico obiettivo da raggiungere: la pace ai confini orientali d’Europa.
«Il Vaticano non riposa mai – ha dichiarato Bergoglio al suo intervistatore Joaquin Morales Sola – non posso raccontarle i dettagli perché non sarebbero più sforzi diplomatici. Ma i tentativi non cesseranno mai».
Il Vaticano ha compreso che questo non è il momento adatto per incontrare e confrontarsi con Kirill. Questo perché, visto il confronto interno che sta interessando il clero ortodosso, lo spirito collaborativo e la propensione al dialogo del Santo Padre potrebbero essere travisati e reinterpretati dalla stampa russa come un endorsment all’ala intransigente del clero moscovita. Ala intransigente che rivendica il diritto di portare avanti una crociata ideologica contro la corruzione dell’Occidente.
In questo conflitto, che ha riportato l’Europa nell’incubo della guerra novecentesca, vi è quella che Gilles Kepel ha definito «la revanche de Dieu» e che Manlio Graziano, in anni più recenti, ha descritto come il ritorno del sacro al centro delle logiche geopolitiche internazionali, non più come tradizione superata, ma come forte collante ideologico nonché mito-motore della collettività.
A tal proposito, secondo lo storico delle religioni Graziano: «le religioni svolgono già oggi un ruolo nella vita pubblica molto più importante di quanto non fosse dieci o vent’anni fa. È possibile, e perfino plausibile, che questo ruolo sarà sempre più ampio in futuro. Di sicuro, esse saranno sempre più spesso utilizzate come forza mobilizzatrice nei vari conflitti, armati o meno; le più organizzate tra di esse, invece, cercheranno di utilizzare i conflitti per accrescere il loro peso e la loro influenza.»
In questo mutato contesto internazionale, dove la religione trova nuovo spazio e vitalità, l’unica agenda votata alla pace risulta essere quella del Santo Padre che, decidendo di non lasciarsi strumentalizzare, ha preferito evitare passerelle per le vie di Kiev senza possibilità di raggiungere obiettivi concreti o incontri non risolutivi con il patriarca di Mosca.
Tramontato anche l’appello ad una tregua per la Pasqua ortodossa, restano inascoltate, ma piene di speranza, le parole di Onufryj, metropolita di Kiev: «pensiamo che il mondo viva di interessi economici, politici, militari, scientifici o altro, mentre il mondo vive grazie ai giusti che hanno fatto spazio al Signore risorto nel proprio cuore, rendendoli forti e capaci di amare il mondo intero».