“Sembra un gioco”. Così si chiama il progetto di prevenzione della pedofilia rivolto a circa 1.500 bambini delle scuole primarie del Lazio, presentato questa mattina nella sede della Regione, e che partirà entro pochi giorni per concludersi nel prossimo giugno. Il programma si presenta come rivoluzionario, innovativo e scientifico, basato su un’ampia letteratura già sperimentata negli Stati Uniti: il fulcro è rappresentato dai giochi di ruolo che vengono proposti ai più piccoli, per "educarli a comportamenti sicuri" e metterli in guardia di fronte a tutte quelle attenzioni che possono risultare strane da parte di adulti. Il progetto, finanziato dal ministero del Welfare, si fonda su tre "R": Riconoscere, Resistere, Riferire. Tramite l’attività di prevenzione si insegna ai bambini come capire quali possono essere le situazioni a rischio, a non farsi attrarre da ciò che viene loro promesso, e a riferire tutto ai grandi. Una strategia che si è resa necessaria partendo da un semplice ma inquietante dato: su 1.200 bambini a cui è stato chiesto se avevano mai sentito parlare di pedofilia, il 70% ha dato una risposta negativa. Solo 106 di loro hanno saputo identificare correttamente il comportamento di un pedofilo. "Non è stato facile divulgare il nostro progetto in Italia – dice la responsabile scientifica di “Sembra un gioco”, Roberta Sacchi – La sperimentazione che abbiamo fatto nel 2004 in Molise ha però dato risultati impressionanti, sia su come i bambini percepiscono il pericolo, sia per ciò che abbiamo ottenuto con la nostra attività”. Se si volesse riassumere il progetto con una metafora, Sacchi spiega che “insegniamo ai bambini come toccare il forno senza scottarsi, ma indossando un guanto". Un modo di operare che consente agli operatori di “lavorare proponendo ai bambini situazioni tipiche di come agiscono i pedofili, utilizzando giochi di ruolo: nello specifico, un nostro operatore assume la maschera del pedofilo e noi mostriamo ai piccoli quali comportamenti evitare”. Con questo gioco è stato possibile arrivare a una premessa, da cui sviluppare la prevenzione: la situazione tipica è rappresentata dall’operatore “finto pedofilo” che cerca di portare via con sè una vittima. Le sperimentazioni mostrano che nell’80% dei casi, il bimbo segue lo sconosciuto che lo ha fermato. Dopo l’esperienza di “Sembra un gioco”, invece, questa percentuale si azzera, riducendo quindi il rischio grazie alla metodologia dell’imparare facendo. Tutto avviene senza spaventare il bambino spiegandogli nello specifico quali pericoli corre: non si parla di sesso o violenza, non si dice al bambino di distinguere un adulto “buono” da uno “cattivo”, ma lo si vuole solo educare a un comportamento prudente e a riferire cosa secondo lui è un “comportamento strano. Altrimenti – spiega ancora Sacchi – si creano disastri che arrivano in tv come Rignano Flaminio, dove non si capisce più cosa è successo e dove in troppi si sono occupati dell’argomento senza esserne esperti”. Secondo Enzo Foschi, vicepresidente della commissione regionale alla Cultura, “si tratta di un progetto rivoluzionario per il linguaggio e il metodo che usa: adatto ai bambini, a differenza degli strumenti che di solito vengono utilizzati. Questo perché il pedofilo sa come irretire una piccola vittima, sa su quali basi poggiare la sua azione. Soprattutto il progetto è importante perché fa prevenzione, quasi sempre purtroppo si parla di pedofilia solo quando il fatto è già successo”. A sostenere e patrocinare l’attività anche il garante regionale per l’Infanzia e l’adolescenza, Francesco Alvaro: “La peculiarità dell’intervento scientifico realizzato con la leggerezza tipica del gioco è l’unica strada possibile per fare prevenzione, se i bambini non vengono coinvolti è complicato mettere in piedi progetti che poi raggiungano l’obiettivo. Quello della pedofilia è un fenomeno immenso su cui non bisogna mai abbassare la guardia, per questo vorrei che la Regione si dotasse di una sorta di piano per l’infanzia, in modo da rendere costanti e mirati gli interventi”.
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