Pope in armi: religione e politica spingono verso la guerra

Lorenzo Della Corte

«Siamo pronti ad andare al fronte, l’abbiamo già fatto. È nostro dovere». 

Il richiamo alle armi, riportato dal Corriere della Sera dell’11 febbraio scorso, non proviene da alcun rappresentante dell’esercito ucraino, bensì sono le parole di padre Andryi, pope della Chiesa di San Michele, situata a 25 km da Kiev. Per quanto particolare possa sembrare, non c’è da stupirsi di questo connubio tra armi e toga che, rievocando tradizioni medioevali, vede un prelato ortodosso dichiararsi pronto financo allo scontro armato in difesa della propria patria.

Come è prevedibile, le ragioni alla base di un conflitto non sono mai riconducibili a un unico motivo. Sono numerose, infatti, le questioni che, intrecciandosi vicendevolmente, creano i presupposti che conducono alla cessazione del dialogo e danno il via alla belligeranza.

Il legame storico, politico e religioso tra l’Ucraina e la Russia è una relazione secolare e avvolgente. Esso trae le proprie radici agli albori della cultura cristiano – ortodossa che, come non manca di rimarcare in ogni occasione il presidente Putin, trova nella Rus’ di Kiev la propria origine.

Se Mosca ritiene indissolubile il legame culturale che unisce Russia, Bielorussia e Ucraina, considerate tre distinte declinazioni di un’unica identità; Kiev rivendica per sé, non solo una propria eccezionalità, ma altresì il proprio primato di unica legittima rappresentante del testimone bizantino.

«Mille anni fa, i missionari bizantini vennero in missione a Kiev, non a Mosca. Siamo noi la culla della cristianità», tiene a precisare padre Andryi forte anche dell’intervento di Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, che, nel gennaio 2019, conferì l’autocefalia alla Chiesa ortodossa di Ucraina, sottraendola al magistero di Kirill, patriarca di Mosca e prezioso consigliere del presidente Putin.

La separazione tra Kiev e Mosca non fu un atto indolore e avvenne in risposta al blitz in Crimea ordinato dal Cremlino. Tale avvenimento, figlio anche della secolare rivalità tra il patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli, fu un successo politico dell’allora presidente Poroshenko, il  quale, annunciando ai fedeli presenti dinnanzi a Santa Sofia la creazione della Chiesa ortodossa locale autocefala di Ucraina, stabilì che la nuova chiesa non sarebbe stata né con Putin né tantomeno con Kirill, bensì con Dio e l’Ucraina. Inoltre, sempre in quella circostanza, dichiarò spezzato il giogo spirituale tra Kiev e Mosca, non percepita più come madre, bensì come matrigna.

In attesa dei futuri risvolti politici, rimane pur sempre viva la speranza che i pope ucraini possano venir meno al richiamo dell’elmetto e, al contrario, possano continuare a tenere ben saldo sul proprio capo la mitra sacerdotale.