Radio Mogadiscio parla italiano, il soft power della diplomazia tricolore

Lorenzo Della Corte

«Nel nome di Dio misericordioso e compassionevole, qui parla Radio Mogadiscio, la voce della Repubblica Somala, che vi trasmette sulle modulazioni di frequenza 90.0. Oggi, martedì 4 gennaio 2022, entra in onda il nostro programma della lingua italiana dalle ore 14:30 alle ore 15:00.»

Dopo 60 anni, il Corno d’Africa torna a parlare italiano attraverso un notiziario che, grazie agli accordi pattuiti tra l’Ambasciata italiana e il Governo somalo, ha reso possibile il ritorno della lingua del Belpaese sulle onde radio della capitale somala.

Alberto Vecchi, Ambasciatore italiano presso Mogadiscio, ha voluto sottolineare la rilevanza di tale iniziativa sulle colonne de La Repubblica, specificando immediatamente che non vi è stata alcuna volontà postcoloniale nel cuore di questo progetto, ma, al contrario, ha tenuto a precisare come tale programma fosse nato con finalità di cooperazione internazionale: «Se possibile è un atto di rilancio del rapporto diretto fra Italia e Somalia, per aiutare la crescita di cittadini somali che poco alla volta saranno la nuova classe dirigente della Somalia, e che l’Italia potrà aiutare meglio se riusciremo a costruire un rapporto più diretto». 

Un’Italia che torna a guardare al di là del Mediterraneo cosciente del fatto che per sentirsi sicuri all’interno, è indispensabile rimodulare la propria presenza all’esterno, soprattutto in regioni strategiche come il Corno d’Africa: «Abbiamo lavorato da tempo a questo progetto — prosegue Vecchi sulle colonne di Repubblica — che si inserisce in un piano più articolato. Da una parte l’insegnamento dell’italiano a Mogadiscio all’Università Nazionale Somala: a metà settembre sono cominciati i corsi in italiano. Il paese e la regione sono centrali nel concetto di Mediterraneo Allargato a cui l’Italia guarda, con tutto quello che ne consegue in termini di sicurezza per il nostro paese».

La nuova trasmissione radiofonica si inserisce in una politica di soft power che, anche attraverso la Fondazione Med – Or, ha intenzione di rilanciare l’idea di una nuova prospettiva geopolitica italiana non limitata ad un pedissequo allineamento a quanto stabilito dagli alleati atlantici ed europei, ma che rivendica un proprio spazio di manovra all’interno dell’agone politico internazionale. Una nuova politica culturale che, come riportato da Alessandro Giuli all’interno di uno speciale redatto per la Fondazione presieduta da Marco Minniti, possa riconoscere la valenza di una diplomazia culturale italiana volta alla tessitura di nuovi rapporti non meramente finalizzati all’ampliamento della sfera di influenza italiana ma che possa altresì agevolare i processi di state building in tutti quei territori dilaniati da lotte religiose e tribali che non permettono un regolare svolgimento della vita civile e politica.

Nel lontano 2019, apparentemente un secolo fa, Dario Fabbri, all’interno di un articolo pubblicato su Limes, confessò la necessità di dar vita ad una nuova pedagogia per l’Italia finalmente liberata dal particulare guicciardinesco e scevra dalla continua isteria che bolla qualsiasi tentativo di influenza oltre i confini patri come una reductio ad fascismum. Tale rivoluzione metodologica ha come fine quello di dominare, con rinnovata sicurezza e caparbia determinazione, le relazioni internazionali affinché per la classe dirigente della Penisola, liberata dalla miopia generata dalle lotte intestine, diventi possibile iniziare a tendere non più all’interesse di parte, ma all’interesse del tutto, ovvero della Nazione. Una prova di maturità che, tuttavia, ancora oggi il ceto politico italiano fatica a passare a pieni voti.