Sequestro di beni mafiosi per 7 milioni

Stefano Serafini

Beni mobili e immobili per oltre sette milioni di euro, nelle disponibilità di tre affiliati alla cosca criminale calabrese degli “Scerbo”, sono stati sequestrati dai finanzieri del Comando Provinciale di Crotone. La pesante misura cautelare, disposta dai magistrati del locale Tribunale, è giunta al termine di una lunga indagine patrimoniale che le Fiamme Gialle crotonesi stavano conducendo nei confronti di alcuni esponenti della criminalità organizzata locale. La cosca degli “Scerbo”, in particolare, era già stata al centro di attenzioni investigative nell’ambito di un’importante operazione antimafia che, nel giugno del 2009, aveva portato alla luce molteplici episodi estorsivi ed intimidazioni perpetrate in danno di alcuni imprenditori di un rinomato villaggio turistico del crotonese. Gli stessi imprenditori, per anni, avevano dovuto soggiacere a continue vessazioni e intimidazioni, finalizzate all’imposizione dei fornitori che avrebbero dovuto lavorare con l’impresa e finanche per l’assunzione di personale dagli stessi malviventi “segnalato”. A seguito di ciò, i tre destinatari dell’odierno provvedimento di sequestro erano stati tratti in arresto, riportando successivamente pesanti condanne per le quali si trovano tuttora in carcere. Sono stati proprio i precedenti giudiziari dei tre soggetti ad indurre i militari della Guardia di Finanza a richiedere alla Procura Distrettuale Antimafia la delega per l’esecuzione di accertamenti finalizzati all’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale. Le indagini effettuate – estese anche ai componenti dei rispettivi nuclei familiari secondo quanto previsto dalla normativa antimafia – hanno evidenziato, per tutti gli interessati, il conseguimento di redditi assolutamente insufficienti a giustificare l’ingente patrimonio da loro detenuto, costituito da beni immobili, autovetture, disponibilità finanziarie, quote societarie nonché due complessi aziendali per la produzione di calcestruzzo. Il patrimonio complessivo – quantificabile in 7.000.000 di euro – non essendo, in alcuna maniera, riconducibile ai modesti redditi dichiarati è stato dunque ritenuto il frutto di attività criminose svolte negli anni o costituente reimpiego di denaro “sporco” proveniente da delitti.