Solidarietà, il valore del nostro tempo

Lorenzo Della Corte

L’ultimo triennio ha dimostrato come, nonostante il genere umano si ritenesse padrone del proprio destino, vi sono imprevisti che scombussolano l’ordine prestabilito e rimettono in discussione ciò che ritenevamo ormai immutabile.

La pandemia prima e il ritorno della guerra in Europa poi, ha scosso il Vecchio continente, costringendo i paesi europei a trovare nuove soluzioni per affrontare l’imprevedibile. Al fine di rispondere a tali sconvolgimenti, i governi e i popoli europei sono riusciti a trovare una strategia comune per uscire da questo tunnel, ovvero la solidarietà, “la coscienza viva e operante di partecipare ai vincoli di una comunità, condividendone le necessità, in quanto si esprime in iniziative individuali o collettive di sostegno morale o materiale”, come ci rammenta il Devoto – Oli.

Contro ogni pretesa sovranista, gli ultimi avvenimenti hanno esplicitato che nessuno si salva da solo perché siamo tutti sulla medesima barca, in preda alla stessa tormenta, ed è partendo da questa realtà che bisogna costruire i remi per affrontare la burrasca che ha afflitto le nostre esistenze. Ognuno di noi non è più meramente responsabile dei propri affetti più cari, non si è più solo responsabili della propria famiglia, dei propri connazionali, ma si diviene responsabili di chiunque abbiamo al nostro fianco. La solidarietà – riscoprendo la sua derivazione latina da solĭdus «intero, compatto, massiccio, senza cavità o vuoti interni» – è la malta che lega e permette di costruire una società, è quel legame sociale che serra le fila, rinnegando le spinte centrifughe dell’atomizzazione, e unisce le varie individualità che compongono il tessuto sociale in un solo organismo. La solidarietà è un vincolo fondato sul mutuo soccorso, su una comunità di intenti, è la coscienza di non essere soli, ma di essere parte di una totalità, è la concordia del tutto che si rivela nella certezza di essere partecipi di un destino comune. Nel pieno della tempesta non è più il tempo dell’io, è il tempo del noi.

La storia si è rivelata: improvvisa, maestosa, terribile. Ora non è più il tempo dell’attesa, è il momento della decisione, è il tempo delle scelte: procrastinare lungo la rotta dettata da logiche rigoriste, continuare lungo la via dell’individualismo, dell’ingordigia, continuando ad anteporre l’utile al giusto e tentando una desolata e solitaria corsa verso il nulla, oppure seguire gli ammonimenti di Papa Francesco, tenere a mente le sue parole e, decostruendo le logiche che costituiscono le nostre società, riconoscersi come un monolite di donne e uomini, solidali l’uno con l’altro, che dignitosamente hanno affrontato l’infuriare della tormenta e ora guardano con speranza al futuro.

Quale futuro ci attenderà se l’egoismo detterà ancora i tempi, quale futuro ci attenderà se continueremo a distogliere lo sguardo dalle miserie altrui, quale futuro se continueremo a porre dinnanzi agli occhi il denaro, lasciando nell’ombra l’uomo. Quale futuro ci attenderà se non sapremo ripartire da ciò che è essenziale: l’educazione, la sanità, il lavoro; quale futuro se continueremo a seguire il falso bene descritto dal Signor Z ne I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo di Solov’ëv: “«Non è tutto oro quel che luccica». Questo bene contraffatto un po’ di lucentezza ce l’ha, però se gliela togli, non gli rimane alcuna forza essenziale.”

Siano, dunque, questi tempi un momento di riflessione sulle nostre vite, sulle nostre prospettive, sui nostri percorsi passati e futuri, affinchè non si perda la speranza nell’avvenire, rimanendo intrappolati nei desolanti gineprai del Barone di Teive, narrati dalla sofisticata penna di Fernando Pessoa, “tutto è avere speranze o è morte. Oggi non ho più neppure speranze, dato che non vedo ragione perché il futuro sia diverso dal passato”. Non può essere questo il futuro che ci attende, non deve essere questo il futuro che ci attende, perché come insegna la storia dei due eremiti tramandata dello starec Varsonofij: “Tutti i peccati tranne uno, lo sconforto, non sono una disgrazia: i due monaci avevano compiuto insieme ogni atto illecito, ma era morto davvero solo quello che si era lasciato andare allo sconforto.”

Non lasciamo vincere, dunque, lo sconforto e proiettiamoci, con speranza, verso il futuro.