Termini Imerese, suicida agente di Polizia Penitenziaria in servizio

redazione

Un Assistente Capo del Corpo di Polizia Penitenziaria di circa 50 anni, originario di Termini Imerese e in servizio nel Nucleo Traduzioni e Piantonamenti del carcere di Palermo Pagliarelli, si è tolto la vita oggi, sparandosi con la pistola d’ordinanza. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE.
“L’uomo oggi ha prestato servizio e poi è tornato a casa, dove si è tolto la vita. Siamo di fronte ad una tragedia immane. Sembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, uno dei quattro Corpi di Polizia dello Stato italiano. Ed è grave che in Sicilia, in tanti anni, nulla è stato fatto per prevenire il disagio lavorativo dei poliziotti penitenziari. Lo scorso mese di aprile, a Marsala, un altro poliziotto penitenziario si tolse la vita ma quella tragedia non ha insegnato nulla. Viene infatti da chiedersi se il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria abbia mai verificato se le Direzioni penitenziarie siciliane hanno stipulato accordi o convenzioni finalizzate a prevenire e contrastare gli eventuali disagi, anche di natura psicologica, dei poliziotti penitenziari in servizio nella Regione”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del SAPPE.
Capece non entra nel merito delle cause che hanno portato l’uomo a togliersi la vita, ma sottolinea come sia importante “evitare strumentalizzazioni ma fondamentale e necessario è comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere dal poliziotto. Non può essere sottaciuto ma deve anzi seriamente riflettere la constatazione che negli ultimi 3 anni si sono suicidati più di 40 poliziotti e dal 2000 ad oggi sono stati complessivamente più di 100, ai quali sono da aggiungere anche i suicidi di un direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e di un dirigente generale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Non sappiamo se era percepibile o meno il disagio che viveva il collega. Quel che è certo è che sui temi del benessere lavorativo dei poliziotti penitenziari l’Amministrazione Penitenziaria è in colpevole ritardo, senza alcuna iniziativa concreta”.
“E’ luogo comune pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio solamente delle persone fragili e indifese: il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle categorie di lavoratori che almeno nell’immaginario collettivo ne sarebbero esenti, ci riferiamo in modo particolare alle cosiddette “professioni di aiuto”, dove gli operatori sono costantemente esposti a situazioni stressogene alle quali ognuno di loro reagisce in base al ruolo ricoperto e alle specificità del gruppo di appartenenza, spesso come in Sicilia in condizioni di lavoro difficili aggravate dall’endemica carenza di Agenti”, aggiunge. “Il riferimento è, ad esempio, a tutti coloro che nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza spesso si ritrovano soli con i loro vissuti, demotivati e sottoposti ad innumerevoli rischi e ad occuparsi di vari stati di disagio familiare, di problemi sociali di infanzia maltrattata ovvero tutto quel mondo della marginalità che ha bisogno, soprattutto, di un aiuto immediato sulla strada per sopravvivere. E certo è che in Sicilia poco e nulla è stato fatto per prevenire il disagio lavorativo dei poliziotti penitenziari”.
“L’Amministrazione Penitenziaria non può continuare a tergiversare su questa drammatica realtà”, conclude Capece. “Servono soluzioni concrete per il contrasto del disagio lavorativo del Personale di Polizia Penitenziaria. Come anche hanno evidenziato autorevoli esperti del settore, è necessario strutturare un’apposita direzione medica della Polizia Penitenziaria, composta da medici e da psicologi impegnati a tutelare e promuovere la salute di tutti i dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria. Non si perde altro prezioso tempo nel non mettere in atto immediate strategie di contrasto del disagio che vivono gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria è irresponsabile”.