Il trono e l’altare, la nuova sinfonia russa

Lorenzo Della Corte

Il 24 febbraio 2022 non si perderà negli annali, non rimarrà una data anonima, ma verrà ricordata come un importante spartiacque della storia. Se con la fine della Guerra Fredda l’Occidente si era illuso di poter ambire ad essere l’ultimo stadio della civiltà, il nuovo millennio, con il risveglio dell’Islam radicale, lo sviluppo della Cina di Xi Jinping e con la nuova (eterna) idea imperiale della Russia putiniana, ha sancito che quel che si credeva definitivo è stato, al contrario, solamente un’appendice del divenire storico e che, ancora oggi, è necessario combattere per difendere i nostri valori e le nostre libertà.

I vinti della Pax Americana, ritenendo il modello occidentale una prassi contestabile e non del tutto condivisibile, hanno coltivato nell’ombra sentimenti di rivincita nei confronti del dominus incontrastato della politica internazionale, ovvero gli Stati Uniti d’America.

Vladimir Putin, dichiarando ormai obsoleto il paradigma liberale, è tornato a rivendicare il diritto ad una differente idea di sviluppo, riproponendo un diverso modello sociale e politico che, rinnegando la secolarizzazione illuminista, ha riscoperto un’antica alleanza tra il potere politico e il potere religioso. Se nel corso dei secoli l’Occidente è riuscito a scindere le due sfere, arrivando financo a relegare in un contesto di marginalità il potere religioso, per il mondo russo tale secolarizzazione non è avvenuta, nonostante il duro giogo dell’ateismo sovietico.

L’immaginario politico e religioso del mondo russo – ortodosso è stato, infatti, sorretto, lungo i secoli, da un sostanziale bilanciamento tra i due poteri che governano le vite e le anime del popolo: il potere spirituale e il potere temporale. Questa concordia tra poteri trova origine e definizione nella sesta novella di Giustiniano. L’imperatore, in quella che è ritenuta il manifesto dell’ideologia imperiale bizantina, definisce la sinfonia bizantina spiegando come «Sacerdozio e Impero sono i massimi doni elargiti agli uomini dalla suprema clemenza: dei due, il primo amministra le cose divine, l’altro presiede ed attende alle cose umane, e da una sola e medesima origine l’uno e l’altro promanano a governare la vita dell’uomo […]. Ché nel momento in cui il primo si riveli assolutamente irreprensibile e sereno dinanzi a Dio, e l’altro rettamente e convenientemente governi la cosa pubblica ad esso affidata. Si creerà una sorta di giovevole concordia (συμφωνία) in grado di provvedere l’umano genere di tutto ciò di cui abbisogna». Questo matrimonio trasla il regno dei cieli sulla terra, calando nella realtà terrestre un ordine celeste che, grazie alla cooperazione del patriarca e del titolare del potere politico, potrà provvedere al commune bonum dell’ecumene, delegando il benessere del corpo al capo terrestre e il vigore dell’anima al capo spirituale. 

Tale visione ha trovato terreno fertile nella letteratura russa, sempre pronta a porsi domande sul potere e sul rapporto dell’uomo con la divinità. Difatti, nei Fratelli Karamazov, Dostoevskij, differenziando tra la chiesa romana e la chiesa ortodossa, illustra come «non è la chiesa che si tramuta in Stato, intendetelo bene, questo è vero di Roma e del suo miraggio. Al contrario lo Stato si tramuta in Chiesa, s’innalza al grado di Chiesa e divien Chiesa su tutta la terra, cosa ch’è tutto l’opposto dell’ultramontanismo, sia di Roma, sia dell’interpretazione vostra, ed è semplicemente la sublime vocazione della Chiesa ortodossa in questo mondo, dall’Oriente il mondo intero sarà illuminato».

Il potere politico, che per la tradizione russa deve essere sempre potere imperiale, si mescola e si fonde con la Chiesa dando concretezza a quel concetto biblico delineato da San Paolo nelle Lettere ai Tessalonicesi: il Katéchon, ovvero la forza che frena, trattiene la venuta dell’Anticristo.

Tale interpretazione, che possiamo ritrovare anche in Solov’ëv, è un pensiero costante nella mentalità del popolo russo, in quanto i russo-ortodossi, rimanendo fedeli alla fede dei padri, ritengono di non dover assecondare il progresso, né tantomeno il modernismo e tracciano così un profondo solco lungo il limes occidentale. Un confine che non diviene così solamente la divisione di due territori, ma una frontiera che si proietta come confine ideologico, l’ineluttabile distinzione tra due percezioni distinte dell’uomo e della politica. L’impero russo, dunque, diviene per la propaganda russa quell’argine che frena l’irrompere dell’Anticristo (lo stile di vita occidentale), il quale avanzando porta in dote con sé un progresso che, per la mentalità russo – ortodossa, altro non è se non il sinonimo di disordine, caos. 

Il liberalismo e la democrazia occidentali non hanno la medesima valenza nell’area slavic – orthodox. Il governo del demos, infattinell’ottica ortodossa equivale alla nascita di una nuova Babele, all’instaurazione di un regime anarchico. La democrazia è, dunque, connessa alla distruzione della taxis, ovvero l’ordine garantito.