La Law of Opinion, la legge dell’opinione di John Locke

Lorenzo Della Corte

Partendo dal volume curato da Massimo Rospocher, “Oltre la sfera pubblica”, si è deciso, seguendo quanto scritto da Sandro Landi in “Opinioni silenziose. Per una storia della dimensione non discorsiva della sfera pubblica”, e riprendendo le confutazioni dello stesso Habermas alla “Law of Opinion” di John Locke, di indagare una differente concezione di opinione pubblica, un’opinione prediscorsiva e non fondata sulla razionalità. Habermas etichetta la Law of Opinion lockiana come una “folkways”, la quale non forma un’opinione pubblica, bensì dà vita ad una censura privata a livello sociale, in quanto definisce quel che è da considerarsi vizio e quel che è da considerarsi virtù. La Law of Opinion non è catalogabile in opinione pubblica, essa, secondo John Locke, è “la misura di ciò che dovunque è detto e stimato virtù e vizio è questa approvazione o deplorazione, elogio o biasimo, che, per segreto e tacito consenso, si stabilisce in ciascuna singola società, tribù e circolo d’uomini nel mondo.

Basandosi sul segreto e tacito consenso, essa manca delle qualità essenziali definite da Habermas per far sì che si possa parlare in senso autentico di opinione pubblica. Tali mancanze sono riscontrabili nell’assenza di discussione, di critica e di ragionamento rispetto a qualcosa che viene considerato vero non dopo un lavoro intellettuale, ma solo ed unicamente poiché è d’uso, attraverso la consuetudine, considerare tale pratica come norma. In definitiva, Habermas liquida come pregiudizio quella Law of Opinion che Locke mise tra le tre leggi che regolano la società umana.

Sopravanzando il giudizio del filosofo tedesco, si può aprire un nuovo mondo riguardante l’opinione pubblica, la quale liberata dai vincoli della categorizzazione dialogica e razionale, può definirsi attraverso differenti declinazioni.John Locke, effettuando studi etnografici e prendendo spunto dai lavori compiuti da Amerigo Vespucci e Jean de Léry sulle popolazioni del Brasile settentrionale, arrivò alla conclusione della non esistenza di un’unica verità e di un’unica morale, in quanto quel che può essere ritenuto moralmente accettato in una cultura, può, altresì, essere ritenuto abominevole in un’altra. Locke prese ad esempio i lavori di Vespucci, il quale nel suo “Il Mondo nuovo” descrisse le usanze e le consuetudini dei Tupinamba come contrapposte alle usanze degli europei, portando, tra le altre cose, ad esempio la diversa concezione della guerra. I Tupinamba erano una tribù priva di istituzioni, commercio e religione. Essi fondavano la propria società unicamente su di un vincolo ancestrale che rendeva gli anziani i depositari di un sapere extratemporale al quale bisognava sottostare in maniera consensuale e acritica. Per i Tupinamba e per altre tribù del nuovo mondo, la guerra non aveva motivazioni di “cupidigia di beni temporali”, bensì essi attribuivano alla guerra un valore atavico, trasmesso loro dai padri, i quali venivano onorati eseguendo la pratica del cannibalismo.Vespucci si scontra, dunque, con la “legge dell’opinione”, ovvero con “un’opinione – che secondo Landi – è consuetudinaria e normativa che orienta le azioni del gruppo e permette di attribuire valore di virtù a una pratica in apparenza esecrabile come il cannibalismo”, approdando così alla convinzione dell’esistenza di differenti opinioni e differenti morali, e quindi della non attendibile veridicità assoluta dell’opinione comune europea.

La “legge dell’opinione” può essere ricondotta al Nomos, ovvero lo spirito delle leggi, la tradizione, il costume. Esso risulta essere un’altra tipologia di opinione pubblica con accezioni differenti rispetto a quella habermasiana, ma non per questo con meno dignità. Carl Schimitt nel suo “Der nomos der Erde” si occuperà del nomos, identificandolo come la costituzione prima e imprescindibile di una popolazione, una tradizione atavica che contraddistingue l’identità di un raggruppamento umano.

Le teorie studiate pongono sotto i riflettori un diverso aspetto dell’opinione pubblica, la quale, pur essendo pubblica, non è il frutto di una discussione o di un dibattito, bensì è il perpetuarsi, come sostenuto da Landi, di “una disposizione atavica che non richiede ragioni perché risulta profondamente inscritta nel patrimonio normativo costitutivo della comunità”. Si può opporre alla definizione habermasiana, una nuova e più antica visione dell’opinione pubblica definita: tacita, normativa e cristallizzata.

Riguardo questo “senso comune”, questo “fiuto divino” dei popoli, diversi autori ne hanno discusso, esso è considerato qualcosa di istintivo, irrazionale, a tratti divino (“vox populi, vox est Dei”) il quale fa distinguere al popolo sempre quel che è bene da quel che è male.Niccolò Machiavelli darà un nome a questo senso comune, a questa opinione universale, egli la definirà ‘umore’ ed a tale umore l’illustre fiorentino darà una dignità, reputandolo meritevole di preoccupazione per i governanti, in quanto guida dei popoli che sono reputati i detentori del potere di legittimare o spodestare un sovrano. Secondo Machiavelli questo umore è composto da diverse opinioni verbali, le quali non sono frutto di un dibattito, bensì sono il risultato di un miscuglio di sentimenti, timori, credenze, speranze ed intenzioni che, come sostenuto da Landi, “pur essendo dotati di un’intrinseca ed effettiva politicità, si situano in uno strato più profondo e prediscorsivo del corpo politico e sociale”.

Ulteriore rappresentazione di tale opinione, è riscontrabile nella volonté générale di Jean Jacques Rousseau. Nel Contrat social Rousseau rende la Law of Opinion sovrana. Essa diviene l’unica fondamenta dello stato ipotizzato dal filosofo ginevrino. Rousseau reputa che lo spirito della costituzione non risieda in nessun luogo, se non nel cuore del cittadino, ovvero nella propria opinion. L’uomo semplice è deviato dalle dispute, dalle discussioni pubbliche, le quali comportano spinte verso interessi privati. Per questo Rousseau descrive la volonté générale non come il consenso degli argomenti, bensì dei cuori. Dunque, si evince dal discorso di Rousseau, che “la società meglio governata è quella in cui le leggi (lois) corrispondono senz’altro ai costumi radicati (opinions)”. Il bon sens è, per Rousseau, sufficiente alla tutela del bene comune e tale sentimento è espresso attraverso l’opinion publique, la quale non è pubblica in quanto mediata da un pubblico raziocinante, bensì è pubblica poiché riflette l’idea plebiscitaria di un popolo perennemente in piazza. La place publique è il fondamento della costituzione.

In conclusione, la legge del costume, ovvero la Law of Opinion, risulta estremamente condizionante per la società civile; infatti, Locke in un passo del “Saggio sull’intelletto umano” pone come fulcro della società la Law of Opinion, essa è la legge primaria che governa le collettività, più temuta della legge di Dio e più osservata della legge civile. Unicamente alla Law of Opinion non ci si può sottrarre, essa pone tutta l’umanità sotto la propria giurisdizione, ergendosi a giudice supremo con diritto di sentenza immediata e non negoziabile. Il comun giudizio non concede, dunque, deviazioni: o ci si sottomette, oppure si è dei reietti.