Carceri, continua l’ecatombe di detenuti suicidi

redazione

E’ il nono suicidio di una persona detenuta nelle carceri italiane negli ultimi quaranta giorni, il numero 31 dall’inizio dell’anno. E il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, chiede al Ministro della Giustizia Andrea Orlando chiede interventi concreti ed urgenti per fermare questa spirale di morte.

“La donna aveva 58 anni, era straniera ed era entrata in carcere a Palermo Pagliarelli per spaccio di droga alle 3 notte –nonostante le disposizioni di legge che prevedono che nessuno debba fare ingresso di notte in un penitenziario- ed al mattino alle 10.30 si è impiccata alle sbarre della cella”,  spiega Donato Capece, segretario generale del SAPPE, precisando che il suicidio è avvenuto nella giornata di sabato scorso, 5 settembre, ma che solamente oggi se n’è avuto notizia.

“Prima di Palermo Pagliarelli, in questi ultimi 40 giorni, altri detenuti si erano suicidati nelle carceri di Roma Regina Coeli, Terni, Teramo, Pisa, Alba, Carinola, Gela, Como”, aggiunge. “Questo datooggettivo ha sollevato fin da subito le nostre legittime perplessità, soprattutto in relazione al fatto che sentiamo sempre più spesso dire che il numero dei detenuti è calato, che “l’emergenza penitenziaria non c’è più”  e, quindi, i problemi sarebbero tutti (o quasi) risolti.  Ma niente è stato fatto, partendo dalla revisione della vigilanza dinamica nelle carceri che non cambiato affatto le cose nelle celle ma, anzi, sembra acuire le criticità penitenziarie.  Nove  detenuti che si tolgono la vita in soli 40 giorni dovrebbero fare riflettere seriamente il Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Altro che chiacchiere: qui ci vorrebbero soluzioni immediate e concrete, e non “nascondere la testa sotto la sabbia!”.

“Servono gli Agenti di Polizia Penitenziaria, oltre 6mila, che mancano dagli organici del Corpo”,conclude Capece. “E riflettere sull’opportunità di mantenere il regime penitenziario ‘aperto’ e la vigilanza dinamica  che, se non sono associati al lavoro in carcere, favoriscono l’ozio e, quindi, l’acuirsi dei drammi personali di chi sta in cella”.