False regolarizzazioni di clandestini

Tiziana Montalbano

 La Polizia Tributaria di Vicenza ha smascherato un’organizzazione criminale, costituita da cittadini italiani ed extracomunitari, dedita, dietro lauti compensi, all’illecita regolarizzazione di clandestini usufruendo della “Sanatoria per colf e badanti”. Oltre 70 finanzieri, dalle prime luci dell’alba di oggi, stanno effettuando 35 perquisizioni in Vicenza, Arcugnano (VI), Lonigo (VI), Montecchio Maggiore (VI), Monticello Conte Otto (VI), Quinto Vicentino (VI), Este (PD), Abano Terme (PD), Cervarese Santa Croce (PD), Rovigo, Padova e Milano, presso le abitazioni di molti dei 33 soggetti allo stato indagati, 13 dei quali destinatari di ordinanze di custodia cautelare (5 in carcere e 8 ai domiciliari). I reati contestati alle persone tratte in arresto – 12 uomini e una donna, di cui 8 italiani, 2 marocchini, due bangladesi, e un serbo, spesso con numerosi precedenti penali connessi a reati societari e fallimentari – vanno dall’associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina e alla truffa, ai delitti specifici previsti dalla normativa in tema di false regolarizzazioni di colf badanti ed ai reati connessi alla violazione della normativa sulla privacy (trattamento non autorizzato di dati personali): i responsabili rischiano pene molto pesanti.Gli ulteriori 20 indagati (16 italiani e 4 bangladesi) sono, invece, per ora denunciati a piede libero, per concorso nel favoreggiamento all’immigrazione clandestina. L’associazione, che operava a Vicenza ha sfruttato la speranza di tanti immigrati irregolari di ottenere un permesso di soggiorno, per il quale erano disposti a “sborsare” cifre significative, pur di uscire dalla condizione di clandestinità. Nel mese di settembre, la Polizia Tributaria di Vicenza ha avviato indagini nei confronti di soggetti che avevano presentato domande di emersione e agli inizi di ottobre ha perquisito un ufficio della BY YOU MUTUI di Vicenza in uso a un soggetto bangladese, collaboratore – da poco iscritto quale intermediario finanziario negli appositi elenchi della Banca d’Italia – della società che gestisce prestiti (inconsapevole, quest’ultima, per quanto al momento risulta, della parallela, illecita attività svolta dal funzionario), nonché presso un ulteriore locale, dal medesimo soggetto utilizzato in Arcugnano (VI), nonché nell’abitazione di un’italiana, collaboratrice del bangladese. La predetta attività permetteva di acquisire copiosa documentazione, relativa all’istruttoria di 447 pratiche di emersione, volte alla regolarizzazione di cittadini extracomunitari clandestini. Dalla prima disamina di quanto rinvenuto, emergeva una preoccupante e già sintomatica situazione: codici fiscali creati ad hoc ed alterati, firme contraffatte, documenti d’identità e dichiarazioni fiscali detenute dai perquisiti senza titolo alcuno, modelli di pratiche di emersione ai fini della citata regolarizzazione da istruire o già istruite, ecc.. Il citato soggetto bangladese, da subito, faceva perdere proprie tracce, dismettendo anche le proprie utenze telefoniche e non facendo più ritorno presso la propria abitazione. Nell’immediato venivano attivate ricerche, che consentivano di rintracciare il medesimo il giorno successivo, mentre era intento a far colazione in un bar, dopo aver trascorso la notte precedente in albergo. La successiva perquisizione personale e dell’autovettura di un connazionale che era appena andato a prenderlo in un albergo permetteva di rilevare che il soggetto era in procinto di darsi alla fuga; pertanto, già sussistendo fondati elementi di reità, l’Autorità Giudiziaria ne disponeva il fermo quale indiziato di delitto, statuendo che fosse associato alla Casa Circondariale di Vicenza. Le susseguenti, celeri investigazioni si sostanziavano nell’acquisizione di dati presso numerosi uffici postali e Prefetture, nell’escussione in atti di oltre 120 soggetti (tra i quali alcuni extracomunitari che hanno ammesso di aver versato denaro per la regolarizzazione senza un effettivo rapporto di lavoro in essere) e nell’analitico approfondimento delle innumerevoli pratiche di regolarizzazione acquisite: le attività svolte consentivano di confermare ulteriormente il quadro già ipotizzato e di delineare, nel contempo, i ruoli degli indagati, facendo luce su una vera e propria associazione a delinquere finalizzata, per fini di lucro, alla pianificazione, gestione e presentazione al Ministero dell’Interno di pratiche di emersione completamente fittizie nonché alla truffa nei confronti degli stessi clandestini. L’associazione si serviva di un modus operandi strutturato ed organizzato, nel cui ambito ciascuno degli indagati aveva un ruolo e una responsabilità precisi. A capo della stessa vi erano 3 soggetti (il citato collaboratore della società finanziaria, detto “l’Avvocato”, la sua assistente e un titolare di un centro di elaborazione dati, chiamato “il Commercialista”); ad essi si affiancavano ulteriori soggetti, il cui compito era quello di “procacciare” datori di lavoro compiacenti, di “adescare” extracomunitari interessati alla regolarizzazione ovvero di acquisire documenti di identità e firme di terzi ignari da utilizzare illecitamente per l’istruzione delle pratiche: una vera e propria organizzazione criminale, insomma, ben articolata e dalla fiorente attività, capace di lucrare somme vertiginose. Ai clandestini extracomunitari venivano richiesti dai 4.000 ai 5.000 euro, una parte dei quali da versare subito, la restante ad avvenuto rilascio dell’attestazione di inserimento della relativa pratica nel sistema informatico del Ministero dell’Interno. In tal modo, sono finiti nelle mani degli indagati almeno 2 milioni di euro (di cui 220.000 versati per istruire le pratiche e la restante parte trattenuti a titolo di compenso per l’attività illegale svolta). L’associazione provvedeva, in pratica, a istruire e a trasmettere telematicamente le richieste di emersione, associando ad ogni cittadino extracomunitario, segnalato quale “colf-badante”, il nominativo di un datore di lavoro, che mai, ovviamente, aveva avuto alle dipendenze il soggetto da regolarizzare. Alcuni sedicenti “datori di lavoro” compiacenti sono stati segnalati a piede libero per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; essi percepivano dall’associazione un compenso variabile tra i 500 e i 1.000 euro per singolo soggetto, e provvedevano a fornire i propri dati, anagrafici e fiscali, o quelli di propri familiari e/o amici inconsapevoli. Altri soggetti, sempre segnalati quali “datori di lavoro”, invece, sono risultati del tutto ignari del sistema fraudolento ed i relativi documenti sono stati illecitamente carpiti con le modalità più varie: ad esempio, il citato soggetto bangladese collaboratore della società finanziaria ed un suo collega utilizzavano i dati personali di alcuni clienti che, magari, si erano rivolti alla menzionata società presso la quale i due lavoravano, soltanto, magari, per richiedere l’accensione di un mutuo o di un finanziamento. Al riguardo, sono state già acquisite 82 querele di altrettante persone che hanno inteso denunciare l’illecito trattamento dei propri dati personali in violazione alla legge sulla privacy). E’ evidente come le parti offese dal reato in esame siano, verosimilmente, molte di più di quelle, allo stato, sentite in atti, in ragione del fatto che le copie fotostatiche dei documenti personali sequestrate dai finanzieri sono riconducibili a un numero ben più elevato di persone residenti in diverse regioni del nord Italia. Oltre a consentire la regolarizzazione di clandestini in assenza dei requisiti di legge, i membri dell’organizzazione criminale hanno, quindi, truffato consapevolmente tanti extracomunitari che, “svenandosi”, hanno loro consegnato i propri piccoli risparmi nella speranza di sanare la propria situazione. I maggiori Paesi di provenienza degli extracomunitari che hanno richiesto, in mancanza dei presupposti, la regolarizzazione, avvalendosi della sanatoria, sono risultati il Bangladesh, la Cina, l’India, l’Egitto, il Marocco, il Pakistan e la Tunisia; le 447 pratiche illecitamente istruite – e già esaminate – sono relative, peraltro, a soli uomini. Le indagini dei finanzieri sono ora volte a recuperare i proventi illecitamente incassati dall’associazione a delinquere e a individuare ulteriori “fiancheggiatori”. Intanto, sono stati già sottoposti a sequestro 35.000 euro in contanti, rinvenuti nelle abitazioni dei indagati.