GdF: Catania, scoperta l’ennesima truffa milionaria all’Inps realizzata con il solito stratagemma dei falsi braccianti agricoli

Giuseppe Magliocco

Una indebita forma di “assistenza sociale”, ma molto più chiaramente l’ennesima truffa ai danni dell’INPS (stavolta anche con l’aggravante mafiosa).
Questo è quanto hanno scoperto i finanzieri del Comando Provinciale di Catania i quali, al termine dell’operazione “Podere Mafioso”, coordinata dalla Procura della Repubblica del capoluogo etneo, hanno arrestato 17 persone ritenute a vario titolo responsabili dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato per il conseguimento di indebite indennità di disoccupazione agricola e corruzione.
La vicenda, che come accennato sopra presenta inquietanti quanto diretti coinvolgimenti di alcuni esponenti delle famiglie mafiose della provincia di Catania, si è materializzata dapprima con la creazione di finte aziende agricole che nascevano e sparivano in pochissimo tempo al solo fine di creare i necessari presupposti cartolari per ottenimento di indennità in favore di braccianti agricoli, e dopo per sviare gli eventuali ma sempre possibili controlli sulle stesse.
Semplici aziende “fantasma” dunque, ma con alle dipendenze un ampio numero di finti braccianti agricoli ai quali far pervenire somme in denaro ricevute a titolo d’indennità per disoccupazione, salvo poi farsi ridare – anche con la violenza fisica se necessario – almeno la metà di quanto indebitamente percepito dall’INPS.
Al riguardo basti pensare che, in favore dei 500 falsi braccianti agricoli reclutati tra il 2014 ed il 2016 dall’associazione criminale, venivano erogate indennità che potevano arrivare anche ai 7.000 euro annui.
Massimo guadagno con minimo investimento dunque, eccezion fatta per i pagamenti delle “collaborazioni” rese ai responsabili della frode da parte di un funzionario dell’INPS e di un ragioniere (ambedue sottoposti a custodia cautelare); il primo avente il compito di comunicare ai truffatori l’esatto importo delle indennità erogate dall’Ente nonché di agevolarne le relative pratiche amministrative, il secondo con quello di predisporre finte buste-paga per i finti dipendenti delle predette aziende “fantasma”.
Un quadro di diffusa ed avvilente illegalità dunque, specialmente se si considera che si reggeva proprio sullo scellerato consenso di non poche famiglie delle comunità di Paternò, Giarre e Riposto.
A far particolarmente riflettere gli investigatori in questo caso, non è stata la tipologia di frode scoperta, invero piuttosto diffusa nel Sud del Paese, quanto il fatto che la stessa fosse stata organizzata e diretta da soggetti già gravati da gravi precedenti per associazione mafiosa e traffico di sostanze stupefacenti, a riprova del fatto che la “piovra” non esita ad allungare i propri tentacoli ovunque si possano concretizzare guadagni illeciti facendo leva sulla propria forza intimidatrice e sullo stato di bisogno delle persone.