Il discorso dello zar: Russia e Ucraina sono un solo popolo, riconosco le repubbliche di Donetsk e Lugansk

Lorenzo Della Corte

«Annuncio il riconoscimento dell’indipendenza delle Repubbliche popolari
di Donetsk e Lugansk ed incarico l’Assemblea Federale russa di scrivere
e ratificare l’accordo di amicizia e cooperazione reciproca con queste
repubbliche.»
Il dado è tratto. Vladimir Putin, durante il discorso alla nazione russa di
ieri pomeriggio, ha espresso la volontà del governo russo di riconoscere
l’indipendenza delle repubbliche separatiste russofone di Lugansk e
Dontesk e ha firmato, in diretta tv, il documento che sancisce
ufficialmente lo status delle repubbliche del Donbass.
La decisione, che era stata preannunciata al cancelliere Scholz e al
presidente Macron, alza il livello della contesa e mette alla prova dei fatti
l’intesa dell’Allenza atlantica, divisa tra la volontà di Washington di
imporre immediate e durissime sanzioni contro Mosca e le perplessità
europee che, vittime di un perdurante bisogno di approvvigionamento
energetico, prediligono il perdurare del canale diplomatico, pur
dichiarandosi favorevoli a possibili azioni mirate contro la Federazione
Russa.
Nel corso del lungo discorso alla nazione, il presidente Putin ha voluto
ricostruire le ragioni storiche per le quali vi è una comunità di fede,
sangue e tradizione tra ucraini e russi che, se non fosse stato per la
politica nazionalista perpetuata dall’«architetto dell’Ucraina» (ovvero,
Lenin), sarebbero continuati ad essere ora, come sempre, un unico
popolo.
«L’Ucraina è parte integrante della nostra storia, cultura e spazio
spirituale; non è solo un paese confinante, non sono solo colleghi, non
sono solo persone con cui eravamo insieme nell’esercito, ma sono
parenti, persone di famiglia con cui abbiamo, storicamente, legami di
sangue» ed è per questo, ha continuato il presidente Putin che,
diventando la situazione critica nel Donbass, si è deciso di venire
incontro alle richieste di quegli ucraini che il leader del Cremlino ritiene
«uniti da sempre nell’unità dello spirito».
Vladimir Putin ha poi proseguito nel proprio excursus storico, ribadendo
l’inesistenza di una tradizione prettamente rutena: «L’Ucraina non ha
mai avuto una tradizione coerente dell’essere una vera nazione: ha

sempre seguito modelli provenienti dall’estero che non trovavano
riscontro nelle loro radici, nella loro storia. Non hanno fatto altro che
assecondare i voleri dell’Occidente» ha precisato Putin, sottolineando
come non sia nel cuore dei cittadini ucraini allontanarsi dalla madre
comune russa, ma sono gli oligarchi e le potenze occidentali a cercare di
dividere quel che la tradizione e la storia hanno unito.
La colpa di questa crisi è, secondo il leader pietroburghese, degli
oligarchi che «hanno sfruttato la frustrazione dei cittadini ucraini e hanno
messo in atto un colpo di Stato» volto a derussificare questi territori,
portando alle porte di Mosca le truppe della Nato. Eventualità che, finché
Putin sarà presidente della Federazione Russa, non vorrà né potrà
consentire.
Decaduti, dunque, gli accordi di Minsk la partita ucraina si complica.
Infatti, se la mossa del presidente Putin ha tentato di destabilizzare le
forze dell’Alleanza atlantica, le cancellerie occidentali hanno risposto
all’unisono e si sono dichiarate compatte: Biden è pronto a firmare, a
stretto giro, sanzioni esemplari con l’appoggio del primo ministro
Johnson e l’Unione Europea si è detta, attraverso le parole della Von Der
Leyen e di Michels, altrettanto pronta a rispondere adeguatamente a
questa inammissibile violazione del diritto internazionale.
All’indomani della mossa del Cremlino, il fronte atlantico appare coeso,
seppure le sensibilità e gli interessi permangano distinti. Solo con gli
sviluppi delle prossime ore potremo sapere quali conseguenze
comporterà l’entrata delle truppe di peacekeeping moscovite nel
territorio delle repubbliche russofone.
In questo tam-tam di provocazioni e minacce, il grande assente rimane
però il leader cinese Xi Jinping. Se il mondo guarda all’Ucraina, l’occhio
del dragone è fisso su Taiwan.