Il modello Olivetti. Lavoro, comunità e formazione

Lorenzo Della Corte

La rivoluzione pensata, voluta e realizzata da Adriano Olivetti è stata quella di porre al centro del processo produttivo l’essere umano. Vi era, infatti, nella visione di Adriano Olivetti una grande cura e attenzione verso la persona. Tantoché tutti i dipendenti della Olivetti erano costantemente incoraggiati a sviluppare le proprie competenze e arricchire il proprio bagaglio esperienziale, non dovendosi limitare al solo perfezionamento meccanico delle proprie attività.

Il sistema di gestione del personale costruito da Olivetti era basato sulla valorizzazione delle persone e non solo sulla capitalizzazione del lavoro dell’operaio. La rivoluzione olivettiana sta nella volontà di interessarsi agli aspetti umani dei propri dipendenti, non solamente al lato strettamente produttivo. Un esempio di questa prassi virtuosa è sottolineato dal fatto che, al momento dei primi colloqui, i responsabili del personale non volevano sapere né tentavano di comprendere le credenze politiche e religiose del candidato e, altresì, guardavano al di là delle mere competenze tecniche, ma, al contrario, ricercavano risorse con molteplici interessi e una profonda curiosità.

A sostegno di queste idee, nel 1954, veniva creato all’interno della fabbrica di Ivrea “il Servizio ricerche sociologiche e Studi sull’organizzazione” che, grazie al supporto di psicologi e sociologi, aveva l’obiettivo di sviluppare innovative politiche di welfare, come ad esempio lo sviluppo scientifico della riduzione della fatica del lavoro, la valorizzazione professionale della formazione tecnica e culturale e, inoltre, il potenziamento delle conoscenze delle forze produttive.

La formazione fu uno dei tratti distintivi del modello olivettiano. Secondo le idee di Adriano Olivetti, infatti, la fabbrica aveva il compito di coniugare profitto e crescita professionale e solo grazie un costante apprendimento sarebbe stato possibile costruire una comunità virtuosa dove il lavoro non veniva interpretato come castigo, bensì come strumento attraverso il quale elevare la propria individualità e accrescere il benessere della comunità.

Grazie alla strutturazione di corsi di perfezionamento, alla promozione di eventi culturali e al libero accesso alle biblioteche messe a disposizione dei dipendenti – e delle loro famiglie – si generò un circolo virtuoso che permise di creare una comunità di apprendimento, in cui vi era sia la possibilità di migliorare il bagaglio professionale di ciascuno, sia l’opportunità di permettere l’accesso alla cultura a chi, per condizioni sociali inique, non poteva permettersi di studiare.

La scelta di credere, in anticipo sui tempi, fortemente sulla formazione è stato, indubbiamente, un elemento che ha contraddistinto la storia della Olivetti. Grazie a tali accorgimenti si è permesso a ogni dipendente di sentirsi valorizzato: l’operaio, in tal modo, prima di sentirsi un mero strumento di produzione, si percepiva e veniva considerato come un uomo parte di una comunità; comunità che gli dava l’opportunità di crescere e a livello professionale e a livello personale.

La straordinarietà della visione olivettiana si riassume nella volontà di non agire con il solo obiettivo di migliorare la produttività dell’azienda, ma il telos verso cui tendere era quello di migliorare qualcosa di più profondo come la condizione di vita delle persone.