La Francia condanna il danno ambientale

Valentina Parisi e Adria Pocek

“In Italia e in Europa ci vogliono norme ancora più rigide, ma il passo compiuto è importante”. Questo il commento a caldo del Presidente della Commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci, subito dopo che è stato reso noto il dispositivo della sentenza emanata in Francia e che potrebbe fare testo in Europa. Per la prima volta, infatti, un tribunale d’Oltralpe ha riconosciuto il principio del “pregiudizio ecologico” e pronunciato una condanna per il disastro ambientale provocato dal naufragio della petroliera Erika avvenuto il 12 dicembre 1999 al largo della costa atlantica. Dopo soli quattro mesi di dibattito gli imputati – ovvero il gruppo Total, l’armatore Giuseppe Bavarese, il gestore Antonio Pollara e il RINA (Registro Italiano Navale) che ha rilasciato il documento di certificazione, verifica e controllo per garantire la tutela della sicurezza e dell’ambiente – sono stati condannati a pagare 192 milioni di euro.
Noleggiata dalla Total, la petroliera trasportava un carico di olio pesante e la marea nera fuoriuscita dall’imbarcazione ha devastato le coste per 400 chilometri, provocando anche lo sterminio di 150 mila uccelli. In particolare i giudici non hanno riconosciuto alcuna attenuante ritenendo che la Total, pur avendo esperienza (è il quarto gruppo petrolifero al mondo), abbia mostrato sconsideratezza e imprudenza per aver noleggiato l’Erika sottovalutando l’età dell’imbarcazione, la carenza di manutenzione e il deterioramento delle sue strutture. La compagnia è stata quindi condannata, insieme al Rina, al pagamento di una multa di 375.000 euro e una parte dei danni complessivi sono stati riconosciuti alle parti civili, tra cui il governo francese (cui dovranno essere versati 153 milioni di euro), gli enti locali e le organizzazioni ecologiste. Le motivazioni della sentenza addotte dai giudici costituiscono una novità rivoluzionaria: riconoscono, infatti, come reato le azioni che danneggiano l’ambiente.
“Una sentenza innovativa – conferma Ermete Realacci, – perché per la prima volta viene riconosciuto il concetto di danno ambientale e penalizzato, giustamente, anche il noleggiatore, responsabilizzando così anche le grandi imprese”.
Tuttavia, c’è ancora “molta strada da fare per quanto riguarda la normativa”, prosegue Realacci, “perché l’Italia e l’Europa sono ancora indietro rispetto agli Stati Uniti. Basta ricordare che per il naufragio in Alaska della Exon Valdez, la compagnia petrolifera Exon fu condannata a pagare 2.600 milioni di euro. Una cifra più di 10 volte maggiore di quella indicata dal tribunale francese per la Erika e più di 20 volte superiore di quella che allora fu pagata per il naufragio della Haven al largo delle coste della Liguria. Ci vogliono quindi norme ancora più rigide, ma il passo avanti compiuto con questa sentenza è importante”.
Un altro punto che va sottolineato, perché rappresenta un significativo cambio di marcia, è il riconoscimento dato dal tribunale alle associazioni in difesa dell’ambiente. Il dispositivo della sentenza recita infatti che queste “hanno il diritto di chiedere riparazione, non solo del pregiudizio materiale e morale, diretti o indiretti, causati agli interessi collettivi che essi hanno l’obiettivo di difendere, ma anche di quello che risulta dai danni causati all’ambiente”.
“Finora non era stato così! Nella normativa europea e soprattutto in quella italiana”, prosegue il presidente della Commissione Ambiente, “può ricorrere soltanto colui che viene direttamente danneggiato. Ora in Italia con la “class action” si è aperta una finestra, ma bisogna vedere come sarà applicata. C’è infatti la possibilità di ricorrere anche per un danno che vede molti cittadini coinvolti e che quindi corre il rischio di essere difficilmente valutabile. Nei casi ambientali è sempre stato difficile che qualcuno potesse vedere riconosciuto il danno per un singolo inquinamento marino. E’ chiaro che ci vuole un soggetto che rappresenti l’insieme degli interessi generali. In Francia ora questo è stato realizzato ed è uno dei passi innovativi, ma c’è bisogno anche di dare maggiore forza alla capacità di risarcimento, perché in altri paesi il vincolo è più consistente dal punto di vista economico per cui chi vuole fare le cose scorrette ci pensi due volte”. L’Italia prenderà spunto da questa sentenza per migliorare la nostra normativa?. “Mi auguro che avvenga, perché nei nostri sistemi attuali, gli armatori sono abituati ad avere navi possedute da società molto piccole, dove c’è il rischio che chi danneggia l’ambiente non venga penalizzato adeguatamente e gli incidenti possono ripetersi. Intanto, un notevole passo avanti è stato fatto”.