Militari, niente stress in pausa

Ivano Maccani
Costa caro ai militari in servizio prendersi un momento di pausa durante il lavoro e utilizzarlo, non per ritemprare le energie psicofisiche come davanti a un buon caffé, ma in discussioni stressanti e conflittuali che possono lasciare uno strascico emotivo alla ripresa del turno. Lo sottolinea la Cassazione convalidando la condanna a due mesi e venti giorni di reclusione a carico di un maresciallo capo dei carabinieri accusato di violata consegna per essersi fermato, durante lo svolgimento di una attività di perlustrazione notturna, nella casa della ex moglie per discutere brevemente della vendita di una casa. Senza successo il militare, Massimo B., ha fatto presente che la sosta era durata meno di un quarto d’ora, il tempo insomma di una legittima pausa caffé, e non
aveva comportato alcuna deviazione dall’itinerario di lavoro. La Suprema Corte non ha voluto sentire ragioni e ha sottolineato – sulla scia del verdetto emesso dalla Corte militare di appello di Roma lo scorso giugno – che la sosta di Massimo B. era "idonea", anche per le "motivazioni strettamente private che la ispirarono", a distogliere "emotivamente e intellettualmente" il militare dalla "doverosa concentrazione nel servizio comandato". Insomma la pausa caffé – scrive la Cassazione nella sentenza 4509 – deve essere usata per "finalità di ristoro" e non per discutere di cose familiari "in contesto di separazione coniugale" che, di certo, non aiuta a "rafforzare le proprie energie psicofisiche, utili al migliore espletamento del servizio". Il carabiniere condannato prestava servizio in
Liguria, a Chiavari, e aveva interrotto il servizio perlustrativo, svolto in macchina con un collega, durante il turno di notte dalle 19 all’ una. Si era fermato sotto il portone della ex moglie, a Leivi (Genova), per parlare con lei giusto il tempo di un caffé.