Presentato il 5° rapporto del CNEL: Milano e Roma capitali dell’immigrazione

Valentina Parisi

Immigrazione e integrazione a due velocità: bene al Nord, male al Sud. Il tutto in un Paese, il nostro, che in questi ultimi anni si è imposto come uno dei grandi poli di immigrazione, con un ritmo d’aumento superiore, in proporzione, a quello degli Stati Uniti.
La fotografia è stata scattata dal Cnel, nel suo Quinto rapporto degli indici di integrazione degli immigrati in Italia, presentato a Roma. Dallo studio emerge che è il Trentino Alto Adige la regione italiana più attiva e più ben disposta all’integrazione sociale. Circostanze testimoniate da alcuni indicatori che riguardano la polarizzazione, la stabilità sociale e l’inserimento lavorativo degli immigrati, sulla base dei quali il Cnel ha svolto la sua indagine e ha stilato una classifica di regioni e province.

Altre regioni a massimo potenziale d’integrazione sono nell’ordine, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Marche e Friuli Venezia Giulia: sembra così affermarsi, secondo quanto rivela il Rapporto del Cnel, un "modello adriatico" di integrazione, che dal Friuli Venezia Giulia arriva fino all’alto Abruzzo (undicesimo posto), includendo anche la Lombardia.
Le regioni che invece denotano un basso o minimo potenziale d’integrazione sono quelle meridionali e insulari, con la Sicilia al ventesimo posto.
Da notare la posizione di Napoli: ultima nella graduatoria del rapporto 2007, nel 2008 è risalita di ben 20 posizioni (ora è alla posizione numero 83); Roma è cinquantatreesima, Milano dodicesima.

Quanto al numero di presenze degli immigrati, ai vertici del Rapporto Cnel si trovano Lombardia e Lazio, con quasi un quarto e un sesto del totale di presenze, tanto che si parla di Milano e Roma come delle capitali dell’immigrazione in Italia. Un’incidenza del 10% si registra invece in Veneto e in Emilia Romagna. Le province con la più alta incidenza di immigrati sono Roma, Milano, Firenze, Prato, Brescia e Modena.

Lombardia, Emilia Romagna e Veneto sono le regioni con maggior potere di attrazione e trattenimento della popolazione immigrata; per quanto riguarda l’inserimento occupazionale si segnalano ai vertici il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia; per l’inserimento sociale troviamo il Trentino Alto Adige, la Valle d’Aosta e il Friuli Venezia Giulia. Per la stabilità sociale la posizione di testa spetta alle Marche.

Pertanto, se nel passato l’impegno consisteva nel sottolineare l’inesistenza di una invasione, oggi l’attenzione va richiamata sul ritmo d’aumento: la presenza immigrata è diventata sempre più visibile, dalle famiglie alle aziende, dalle scuole agli spazi pubblici, e ha reso le nostre città più cosmopolite. Le cause di questo cambiamento sono esterne (pressione dei paesi di origine e chiusura dei tradizionali paesi di immigrazione) e interne (calo demografico e bisogno di forza lavoro supplementare), complice anche la collocazione geografica della nostra penisola, alla confluenza dei flussi che si originano dall’Est Europa, dall’Asia e dall’Africa.

L’obiettivo dell’integrazione pone oggi tutti gli Stati membri dell’Unione Europea nella posizione di apprendisti, avendo tutti i precedenti modelli dimostrato i loro limiti. Comunque, qualunque definizione venga data dell’integrazione, questa, secondo un’impostazione più legata all’operatività, deve essere intesa fondamentalmente come volontà e capacità di favorire una fruttuosa ed armoniosa convivenza tra popolazione locale e nuovi arrivati. Si tratta certamente di un obiettivo complesso che implica anche dimensioni esistenziali non direttamente misurabili, mentre la misurazione è possibile per gli aspetti tangibili di tale processo. Non è detto che in un’ipotetica “regione ideale”, con un numero elevato di soggiornanti stranieri e condizioni favorevoli all’inserimento sociale e occupazionale, tutti gli immigrati si sentano effettivamente integrati. Resta, però, vero che in un territorio con simili caratteristiche ci si può attendere che l’integrazione sia più semplice da realizzare rispetto ad altri contesti carenti o insoddisfacenti sotto tale aspetto.
Il rapporto stilato si è concentrato maggiormente sulle tendenze in essi implicate, le quali, poiché conservano la loro validità nel tempo, aiutano a capire quanto è avvenuto negli anni che ci precedono e a interpretare i futuri sviluppi. Sono stati così analizzati: l’indice di “polarizzazione”, individuando nel Lazio e nella Lombardia, quindi Milano e Roma come città dell’immigrazione. La capacità di trattenere i nuovi arrivati con un soggiorno stabile va rapportata al peso dei permessi di soggiorno per lavoro e per famiglia, che a livello nazionale hanno inciso in media per l’81,1% sul totale dei permessi. Si collocano al di sopra di 5-6 punti sia il Lazio che la Campania, mentre altre regioni del Sud, come Puglia e Calabria, stanno 5 punti al di sotto. A livello provinciale troviamo, con valori dell’85% e più, non solo le province campane e quella di Roma, ma anche Reggio Calabria, Livorno, Gorizia, Grosseto e Cosenza. Il secondo parametro, l’indice “sintetico” di integrazione e le variazioni nella graduatoria, tiene conto degli altri indici (di stabilità sociale e di inserimento lavorativo) per pervenire a un punteggio complessivo, che ha consentito di ripartire il territorio in cinque fasce: massima, alta, media, bassa e minima.
La situazione, pur non essendo ottimale, presenta un miglioramento generalizzato rispetto al IV Rapporto CNEL, ma nonostante negli anni siano stati cambiati alcuni indicatori, sono sempre le regioni settentrionali a offrire le condizioni di per sé più favorevoli per l’integrazione degli immigrati. Tutto il Nord Est è rappresentato nella fascia di livello massimo, mentre la fascia di livello alto copre anche quasi tutto il Nord Ovest e il Centro (esclusi la Liguria e il Lazio). Una piccola regione come il Trentino Alto Adige viene per prima in graduatoria, seppure a poca distanza dal Veneto e dalla Lombardia. Altre regioni a massimo potenziale d’integrazione sono, nell’ordine, Emilia Romagna, Marche e Friuli Venezia Giulia. Sembra così affermarsi un “modello adriatico” di integrazione che dal Friuli Venezia Giulia arriva perlomeno fino all’alto Abruzzo, includendo anche la Lombardia. Un altro terzetto compatto si colloca poi tra le 17 province a basso potenziale (si tratta, nell’ordine, di Bari, Cagliari e Napoli, rispettivamente dall’81° all’83° posto), mentre tra le 18 a potenziale minimo d’integrazione l’unico capoluogo di regione è Palermo (90°). Napoli, ultima nella graduatoria del IV Rapporto, è risalita di ben 20 posizioni, anche in virtù di indicatori non utilizzati in precedenza.
Riguardo all’indice di occupazionale, se rispetto al tasso medio nazionale degli italiani le regioni del Nord e del Centro offrono agli immigrati una situazione più soddisfacente, rispetto ai tassi degli italiani riscontrabili in ciascuna regione, sono i territori del Meridione a rivelarsi più ugualitari nei confronti degli immigrati, seppure in una condizione di disagio generalizzato.
Per l’incidenza dei lavoratori qualificati (nel 2003 quelli immigrati erano appena l’1,3% del totale: 5.859 su 447.846), se rapportata alle medie regionali degli italiani, sono le regioni del Sud quelle più soddisfacenti per la posizione degli immigrati, mentre agli ultimi posti si collocano sei grandi regioni di immigrazione: Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Lazio, Lombardia.
Prendendo come riferimento la situazione degli italiani a livello nazionale, le regioni che garantiscono un trattamento più ugualitario agli immigrati sono il Friuli Venezia Giulia (che con 63 punti ha il doppio di quelli della Puglia, ultima con 30), il Trentino Alto Adige e il Piemonte. Tuttavia anche in queste regioni gli immigrati, pur essendo più vicini agli standard medi di vita della popolazione nazionale, sulla base degli indicatori presi in considerazione, hanno un gap di circa il 40% a sfavore rispetto alla situazione degli italiani.
Prendendo come riferimento la situazione degli italiani nella stessa regione, lo scenario cambia notevolmente perché, nel caso delle regioni strutturalmente deboli, il poco che esse danno agli immigrati può essere molto rispetto alle loro possibilità e, di converso, nel caso delle regioni strutturalmente forti, il molto offerto agli immigrati può essere poco rispetto alle loro capacità potenziali. Vediamo così che al di sopra dei 60 punti si collocano 7 regioni, per lo più del Sud (a partire dall’Abruzzo), ma anche una del Nord (Trentino Alto Adige) e una del Centro (Umbria). D’altro canto con 40 punti, e al penultimo posto, troviamo la ricca Lombardia, e con 38 punti, ultima in graduatoria, una regione turistica come la Valle d’Aosta. Entrambe sono appena precedute, con un punteggio di poco superiore, da altre regioni grandi ed economicamente forti come Lazio, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto.
Si constata così che, in termini differenziali, gli immigrati non solo si trovano in una posizione impari dal punto di vista giuridico, ma lo sono anche quanto alle concrete condizioni di vita: si tratta una situazione di maggiore sfavore da recuperare attraverso adeguate politiche e pratiche di integrazione. Queste indicazioni torneranno molto utili al CNEL nella predisposizione del prossimo Rapporto sull’integrazione, che, inglobando le due metodologie di valutazione, riuscirà a rappresentare la situazione degli immigrati in maniera più puntuale e articolata.