GdF, Foggia: traffici di droga e armi manovrati dall’interno del carcere. Arrestati 9 responsabili

Enrico Fiorenza

Nove persone, ritenute contigue al clan della cosca criminale del boss Luciano Romito (ucciso in un agguato ad agosto scorso insieme ai fratelli ed al cognato), sono stati arrestati all’alba di oggi dai finanzieri del Comando Provinciale di Foggia, dopo un’indagine partita a ottobre 2017 e condotta nei confronti di alcuni soggetti detenuti presso la Casa Circondariale del capoluogo dauno.
Le attività investigative portate avanti dalle fiamme gialle, soprattutto con intercettazioni telefoniche ed ambientali, hanno consentito di svelare ai militari come all’interno del locale istituto di pena fossero state utilizzate diverse utenze di telefonia mobile, con continui scambi di schede sim e utilizzo di frasari “criptici” durante le comunicazioni; accortezze attraverso le quali, sia gli esponenti di spicco, sia i gregari dell’organizzazione criminale lì detenuti, trattavano con i loro fiancheggiatori esterni impartendo ordini e direttive per le più diversificate attività illecite del clan, in particolar modo per il traffico di droga, per il reperimento di armi e finanche per il progetto di una clamorosa evasione che, nelle loro iniziali intenzioni, sarebbe dovuta avvenire la notte dello scorso Capodanno in concomitanza con la preventivata riduzione del personale di sorveglianza.
Ad innescare le indagini, poi culminate con gli arresti di oggi, una telefonata intercettata dalla GDF di Brindisi nel corso della quale tre detenuti ed un altro soggetto sottoposto agli arresti domiciliari stavano pianificando l’introduzione clandestina nel carcere foggiano di uno strumento di offesa (da loro chiamato in codice criptato “cinghia”), che sarebbe stato utilizzato per uccidere un altro detenuto non meglio identificato dagli investigatori.
A queste intercettazioni telefoniche i finanzieri affiancavano anche quelle ambientali affidandosi alla preziosa quanto qualificata collaborazione degli agenti di Polizia Penitenziaria e, proprio nel corso dei periodici colloqui tra detenuti e loro familiari, acquisivano dettagli informativi utili al successivo rinvenimento e sequestro effettuato a Vieste (FG) ed a Monfalcone (GO) di 2 fucili e una pistola – tutti con matricola abrasa – presumibilmente già utilizzati in azioni criminose e sui quali si stanno eseguendo opposite perizie tecniche.
Gli elementi probatori raccolti dai militari della Guardia di Finanza per mezzo di quelle utilissime intercettazioni portavano, altresì, a scovare all’interno della “sala colloqui” del carcere due fili diamantati – meglio conosciuti come “capelli d’angelo” – che di norma vengono utilizzati per i tagli di pietre e marmi, ma che in quel luogo sarebbero invece serviti per segare le sbarre di una o più celle in maniera veloce e senza fare troppo rumore.
L’intenzione di chi avrebbe dunque utilizzato quei particolari fili era quella raggiungere il tetto di un capannone prospicente alle mura perimetrali del carcere, da dove poi il braccio telescopico di una gru gli avrebbe prelevati manovrando dall’esterno e portando così a compimento l’evasione.