GdF, operazione "Maglie larghe"

Stefano Serafini

   Una fitta rete di società “fantasma” aventi sede in Serbia, Ucraina, Bosnia, Croazia, Isole Marshall, Siria, Giordania e San Marino, utilizzate per gestire un’imponente evasione fiscale da 300 milioni di euro perpetrata nel settore del commercio dei tessuti e dei capi di abbigliamento, è stata scoperta di finanzieri del Comando Provinciale di Trieste. Il sofisticato sistema di frode prevedeva l’utilizzo di 15 società nazionali ubicate tra Lombardia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia che effettuavano fittizie operazioni infra-gruppo (unite a numerose operazioni di false esportazioni per un totale di 150 milioni di euro), movimentando tessuti e capi di abbigliamento al solo scopo di creare e monetizzare dei falsi crediti I.V.A., corrispondenti a 30 milioni di euro. Tali crediti venivano poi imputati in capo ad alcune aziende del sodalizio criminale, mentre altre società ubicate all’estero erano usate come paravento per dare copertura, almeno “formale”, alle esportazioni. Le indagini, dirette dalla Procura della Repubblica di Trieste, sono state condotte dalle Fiamme Gialle del capoluogo giuliano e dal locale Servizio Antifrode dell’Agenzia delle Dogane. L’azione congiunta finanzieri-doganieri ha permesso di ricostruire 287 operazioni inerenti a false cessioni all’estero di beni dichiaratamente destinati in Ucraina, Serbia e Bosnia-Erzegovina, attraverso le dogane italiane di Fernetti, San Sabba e Padova, oltre che a quella slovena di Obrezje. Due le principali modalità fraudolente utilizzate dai truffatori: l’utilizzo di documentazione tributaria non veritiera da presentare agli uffici doganali nazionali per ottenere il rilascio dei previsti atti per l’esportazione e la creazione di false bollette doganali su cui venivano apposti timbri falsi degli uffici finanziari per giustificare – solo cartolarmente – l’uscita delle merci dal territorio comunitario.Da rilevare che in alcuni casi la merce era addirittura rivenduta “in nero” in Italia, mentre in altri la transazione era completamente fasulla. Il sistema illecito escogitato dai responsabili si chiudeva con la fatturazione diretta a società costituite nelle isole Marshall, Siria e Giordania al solo di rendere difficile la reale ricostruzione delle operazioni nonché l’identificazione degli esecutori della frode. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, gli indagati si avvalevano anche dell’aiuto di un funzionario doganale, in servizio preso la dogana di Fernetti (TS), che aveva il compito di agevolare fraudolentemente le procedure per l’uscita delle merci dal territorio doganale, sia pur in assenza dei mezzi di trasporto indicati nelle bollette doganali. Da notare come le fittizie esportazioni di merce permettevano alle società coinvolte di godere dei benefici riconosciuti agli “esportatori abituali”, benefici che si sostanziano nella possibilità di effettuare acquisti sul territorio nazionale senza corrispondere l’I.V.A., utilizzare tale credito in compensazione oppure chiederne il rimborso. Le investigazioni in argomento, per le quali sono state eseguite intercettazioni telefoniche, attività rogatoriali all’estero, numerose perquisizioni nonché attività di pedinamento e appostamento, hanno inoltre consentito di risalire a una serie di falsi acquisti e vendite sul territorio nazionale per altri 150 milioni di euro. Significativo anche il sequestro di 14 società italiane coinvolte nella frode e dei crediti I.V.A. ad esse spettanti per un valore complessivo di circa 15 milioni di euro. Gravi e numerose le ipotesi penali contestate a carico dei 15 soggetti indagati come l’omessa e l’infedele dichiarazione, il falso materiale e ideologico in atto pubblico, la truffa aggravata ai danni dello Stato e l’uso abusivo di sigilli e strumenti ufficiali.