‘Ndrangheta, maxi sequestro GdF a Roma

Tiziana Montalbano

     Si è conclusa l’operazione “Cafè de Paris”, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, che ha visto impegnati i militari del G.I.C.O della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, dello S.C.I.C.O. di Roma, la Compagnia della Guardia di Finanza di Palmi e i Carabinieri del R.O.S. di Roma. Durissimo il colpo inferto, sul piano patrimoniale, a una delle più influenti consorterie della ‘ndrangheta originaria della piana di Gioia Tauro, con il sequestro di un patrimonio mobiliare e immobiliare del valore di circa 200 milioni di euro. Si tratta di una delle più rilevanti operazioni di sequestro di beni operate negli ultimi tempi,  che conferma come la criminalità organizzata calabrese estenda il proprio potere economico al di fuori dei territori di origine, investendo ingenti somme provento di attività illecite nel settore turistico commerciale, della ristorazione nonché in immobili di prestigio. Le attività di indagine hanno portato gli uomini dell’Arma e delle Fiamme Gialle al sequestro del capitale sociale e del patrimonio aziendale di 12 società, diversi beni mobili e immobili, tra cui quattro appartamenti in quartieri residenziali di Roma, nonché di diverse auto di lusso, tutti riconducibili a Vincenzo Alvaro di Cosoleto (RC), ritenuto dagli inquirenti l’attuale reggente dell’omonima consorteria mafiosa dominante nei comuni del versante pre-aspromontano della provincia di Reggio Calabria. Tra le attività commerciali sequestrate spiccano i nomi dei due prestigiosi ristoranti romani, il  “Cafè de Paris” e il “George’s”. Analogamente noti risultano, poi, tutta una serie di bar e ristoranti sottoposti a sequestro nel centro della capitale: da via Colonna Antonina a via Bissolati. L’attività investigativa ha consentito, quindi, di accertare una radicata infiltrazione, già in corso da diversi anni, nel tessuto economico della capitale, da parte di appartenenti alla cosca degli Alvaro. L’attenzione degli inquirenti si è rivolta, in particolare, verso le ingenti disponibilità di denaro dimostrate da soggetti di origine calabrese, strettamente legati da vincoli, anche parentali, al boss. Grazie ad articolati e minuziosi riscontri, gli investigatori sono riusciti infatti a dimostrare come tali disponibilità risultassero del tutto ingiustificate, soprattutto se rapportate alle modeste potenzialità finanziarie rilevate sul conto dei prestanome individuati, tra i quali spicca Damiano Villari. Gli elementi investigativi emersi dalle indagini  hanno permesso di sostenere l’esistenza di una vera e propria holding nel settore della ristorazione romana, fittiziamente intestata a soggetti apparentemente estranei l’uno all’altro, ad hoc costituita. Il boss Vincenzo Alvaro, infatti, ritenuto dagli inquirenti la mente “operativa” dell’omonima cosca nella capitale, si era trasferito a Roma nel 2001 dove aveva provveduto a reinvestire ingenti  proventi acquistando numerosi esercizi commerciali operativi nel settore della ristorazione,  avvalendosi di prestanome all’evidente scopo di rendere tali lucrose attività non riconducibili agli interessi dell’organizzazione criminale e, quindi, non raggiungibili da possibili provvedimenti ablativi da parte della magistratura. In uno di questi locali Alvaro risultava dipendente con le mansioni di aiuto cuoco.