Torino,detenuto straniero che aveva denunciato violenze picchia agenti in carcere

redazione

Alta tensione nel carcere di TORINO, con due poliziotti penitenziari aggrediti l’8 marzo scorso dal detenuto straniero salito agli onori delle cronache perché a suo dire, durante la permanenza in cella in vari carceri del Paese, ha tenuto con sé un registratore memorizzando frasi riferite a persone non accertate e non identificate ma, sempre a dir suo e del legale, appartenenti all’Amministrazione penitenziaria. La denuncia è del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE che sollecita “urgenti determinazioni per il carcere di Torino” ed evidenzia come “questo evento critico di Torino è l’ennesimo finalizzato a destabilizzare l’ordine e la sicurezza in un carcere, che vede per protagonista sempre questo detenuto, che evidentemente crede di poter fare quel che vuole nei penitenziari del nostro Paese, ‘forte’ della sue denunce che però sono state archiviate dai giudici”.

Il resoconto delle giornate di follia è affidata a Vicente Santilli, segretario regionale SAPPE per il Piemonte: “Il detenuto, ubicato presso il Padiglione "a" della Quinta sezione detentiva della Casa circondariale di Torino, sta scontando una pena a 9 anni e 4 mesi per violenza sessuale, con fine pena 05/09/2017. Martedì sera 8 marzo, verso le 20, ha aggredito proditoriamente e senza alcuna ragione i due Agenti di Polizia Penitenziaria in servizio nel citato Padiglione: questo perché pretendeva di uscire, si lamentava di tutto, non vorrebbe stare in carcere e durante alcune operazioni di rito ha aggredito con calci e pugni gli Agenti preposti nella sezione, poi accompagnati presso il nosocomio "Maria Vittoria" di Torino per le cure del caso. A loro va la solidarietà e la vicinanza del SAPPE, ma è inaccettabile che sempre questo detenuto si renda responsabile di atti di violenza contro i poliziotti penitenziari, a Torino ed in ogni altro carcere è ristretto”. 

Da Roma, il Segretario Generale del SAPPE Donato Capece aggiunge: “Le carceri sono più sicure assumendo gli Agenti di Polizia Penitenziaria che mancano, finanziando gli interventi per far funzionare i sistemi antiscavalcamento, potenziando i livelli di sicurezza delle carceri, espellendo i detenuti stranieri.  Altro che la vigilanza dinamica, che vorrebbe meno ore i detenuti in cella senza però fare alcunchè. Le idee e i progetti dell’Amministrazione Penitenziaria, in questa direzione, si confermano ogni giorno di più fallimentari e sbagliati. E dovrebbe far riflettere seriamente tutti colo che hanno preso per oro colato quel che ha detto questo detenuto, sempre al centro di violenze e turbative dell’ordine e della sicurezza in carcere. E’ stato destinatario, nel suo peregrinare nelle carceri italiani, di oltre 40 procedimenti disciplinari e deferimenti a diverse Procura della Repubblica per resistenza, minaccia, oltraggio e lesioni a pubblico ufficiale. E poche settimane fa è stato rinviato a giudizio, a Genova, per avere dato in escandescenza durante la permanenza nel carcere di Pontedecimo e avere aggredito verbalmente e fisicamente alcune unità di Polizia Penitenziaria, tentando anche di colpirle con un rudimentale punteruolo”.

Molto clamore aveva suscitato gli audio raccolti di nascosto dal detenuto marocchino, che ha già cambiato undici istituti di pena e diffusi dal legale, che testimonierebbero decine di conversazioni con sedicenti appartenenti all’Amministrazione e al Corpo di Polizia Penitenziaria che lo avrebbero minacciato e picchiato in cella, facendo tornare in primo piano l’attualità penitenziaria.

Il leader del primo Sindacato dei Baschi Azzurri commenta che “la Polizia Penitenziaria, negli oltre 200 penitenziari italiani, è formata da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti. Noi non abbiamo nulla da nascondere. E’ troppo facile strumentalizzare ipotesi e congetture sui mass media" – continua Donato Capece – "per far breccia sull’emotività della pubblica opinione, senza aver cura, però, di attendere gli esiti delle indagini e, soprattutto, le sentenze della Magistratura, così calpestando il principio costituzionale della presunzione di innocenza. Noi del Sappe," – conclude – " così come tutti i poliziotti penitenziari, siamo adusi rispettare le sentenze definitive e solo di fronte a queste potremmo esprimere la nostra opinione. E’ anche nostro interesse, come quello di tutti i poliziotti penitenziari, espellere da una istituzione sana chi sano non  è, ma questo si può fare solo di fronte alla certezza di una condanna definitiva. Il resto, ripeto, è soltanto pubblicità e propaganda che fa il bene di chi la alimenta e il male di chi fa solo il proprio dovere."