Agrigento, maxi evasione fiscale

Paola Fusco

 Grazie a una serie di verifiche fiscali eseguite nei confronti di alcuni soggetti originari dei comuni di Ravanusa e Canicattì operanti nel settore del commercio di metalli e rottami ferrosi, i finanzieri del nucleo di Polizia tributaria di Agrigento hanno constatato una base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e Iva  non corrisposta all’erario per oltre un miliardo di euro. Le indagini hanno portato alla denuncia di 120 imprenditori per dichiarazione fraudolenta e per emissione di fatture per operazioni inesistenti. Recentemente un’altra società della zona, sempre operante nella commercializzazione di rottami ferrosi, è finita nel mirino delle Fiamme gialle: qui sono stati accertati ricavi sottratti al fisco per oltre 80 milioni di euro e un omesso versamento Iva e Irap per oltre 15 milioni di euro. Anche in questo caso  e’ stato scoperto un sistema che ricalca la tecnica dell’utilizzo delle cosiddette “societa’ cartiere” costituita ad hoc e priva di qualsiasi struttura economica-imprenditoriale, che ometteva la presentazione delle dichiarazioni obbligatorie  provocando, tra l’altro, una cioncorrenza sleale. L’azienda cosi’ costituita avrebbe permesso, quindi, l’immissione nel mercato di materiale ferroso “in nero” determinando, per il successivo anello della catena commerciale,  la necessita’ di documentare gli acquisti in nero e quelli fittizi per giustificare le cessioni alle acciaierie, ovvero all’ultimo anello della catena. Nel corso della verifica fiscale si e’ accertato che l’impianto contabile era inattendibile e la documentazione reperita  e’ risultata  frammentaria e incompleta allo scopo di impedire materialmente la ricostruzione del reale volume d’affari dell’impresa e del conseguente debito con il fisco. Il materiale ferroso (scarti di lavorazione, rottami e dismissioni industriali) veniva recuperato e ceduto “in nero” dai cosiddetti “rottamai” senza l’emissione di regolare documentazione fiscale, a grosse aziende dedite alla raccolta che a loro volta rivendevano il materiale al normale prezzo di mercato, a numerose acciaierie e fonderie. Le transazioni commerciali per importi considerevoli avvenivano  per cassa e per contanti, con assegno circolare o tramite bonifico bancario. Dall’analisi delle movimentazioni bancarie, i finanzieri hanno accertato che, sistematicamente, al versamento di un assegno circolare o bonifico bancario che regolava il pagamento di fatture seguiva, contestualmente, un’operazione di prelevamento – in contante o con assegno bancario – di pari importo nel quale figurava come beneficiario il rappresentante legale dell’impresa che aveva ricevuto la fattura che documentava la cessione del materiale, diminuito di una somma che, verosimilmente, rappresentava la “provvigione” spettante alla società cartiera emittente delle fatture per operazioni inesistenti.