Carceri, secondo suicidio di un detenuto in 24 ore. Dopo Civitavecchia, anche a Barcellona Pozzo di Gotto

redazione

Ha deciso di togliersi la vita impiccandosi nella sua cella della Casa Circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto, nel Messinese, dov’era detenuto da una decina di giorni. La notizia è diffusa dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria.
Vito FAZIO, segretario del SAPPE barcellonese, commenta: “L’uomo, di circa 40 anni, rumeno, era in osservazione psichiatrica e si è suicidato, impiccandosi, in cella. L’Agente di Polizia Penitenziaria di servizio si è accorto dell’accaduto e ha dato l’allarme. Purtroppo sono stati vani i tentativi di soccorso per rianimarlo, anche con l’ausilio di altri colleghi e dello staff infermieristico. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”.
Donato Capece, segretario generale del SAPPE, aggiunge: “Questo nuovo drammatico suicidio di un altro detenuto, il secondo in 24 ore dopo l’uomo morto in cella nel carcere di Civitavecchia, evidenzia come i problemi sociali e umani permangono, eccome!, nei penitenziari, lasciando isolato il personale di Polizia Penitenziaria (che purtroppo non ha potuto impedire il grave evento) a gestire queste situazioni di emergenza. Si consideri che negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 18mila tentati suicidi ed impedito che quasi 133mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”.
Amara la conclusione del SAPPE: “Il sistema delle carceri non regge più, è farraginoso. E’ vero quel che ha detto durante la consueta conferenza stampa di fine anno il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, ossia che avere un sistema carcerario più moderno e più umano aiuta la sicurezza. Ma oggi la realtà in Italia non è affatto così. Oggi, nelle 190 prigioni del Paese, sono presenti oltre 57.600 detenuti, quasi 20mila dei quali sono gli stranieri, ossia ben oltre la capienza regolamentare, e gli eventi critici tra le sbarre (atti di autolesionismo, risse, colluttazioni, ferimenti, tentati suicidi, aggressioni ai poliziotti penitenziari) si verificano quotidianamente con una spaventosa ciclicità. E da tempo il SAPPE denuncia, inascoltato, che la sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle della Polizia Penitenziaria di sorveglianza dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza di personale – visto che le nuove assunzioni non compensano il personale che va in pensione e che è dispensato dal servizio per infermità -, il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento. La realtà è che sono state smantellate le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali, con detenuti di 25 anni che incomprensibilmente continuano a stare ristretti in carceri minorili. Mancano Agenti di Polizia Penitenziaria e se non accadono più tragedie più tragedie di quel che già avvengono è solamente grazie agli eroici poliziotti penitenziari, a cui va il nostro ringraziamento. Ed allora si comprenderà perché da tempo il SAPPE dice che nelle carceri c’è ancora tanto da fare: ma senza abbassare l’asticella della sicurezza e della vigilanza, senza le quali ogni attività trattamentale è fine a se stessa e, dunque, non organica a realizzare un percorso di vera rieducazione del reo”.