Giulio II, la propaganda del Papa guerriero

Lorenzo Della Corte

Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam” era il 31 ottobre del 1503 quando ascese al soglio pontificio Giuliano Della Rovere, con il nome di Giulio II. Giulio II dominerà il panorama europeo della prima decade del Cinquecento, divenendo il dominus incontrastato della penisola italiana. Il Della Rovere fu maggiormente dedito alla politica e alla guerra, piuttosto che alla fede. La politica del “Papa guerriero”, basandosi sull’espansionismo territoriale e sull’allargamento della sfera di influenza papale, ritenne il consensus populi un elemento inderogabile per il raggiungimento dei propri fini, poiché, come scrisse Machiavelli, era essenziale per un sovrano avere il consenso popolare, in quanto “uno principe debbe tenere delle coniure poco conto, quando il popolo li sia benivolo; ma, quando li sia inimico e abbilo in odio, debbe temere d’ogni cosa e d’ognuno”.

Giulio II, per garantirsi questo consenso popolare, mobilitò una macchina propagandistica non indifferente. Essa fu composta da oratori e panegiristi pontifici, ciarlatani e cantimbanco, stampatori e poeti volgari, ad ognuno di essi era stato dato il compito di “di-vulgare” un messaggio dalla sfera istituzionale alla sfera popolare, di modo che il volgo potesse sentirsi partecipe della renovatio imperii che il Papa stava attuando. Tale macchina propagandistica aveva lo scopo di giustificare le politiche giuliane, le quali, essendo più inclini a un imperatore romano, piuttosto che al successore di Pietro, necessitavano di legittimazione. Giulio II doveva essere rappresentato come il liberatore d’Italia, il difensore della libertà e dell’unità della chiesa, nonché ultimo baluardo contro il pericolo turco.

Il suo progetto propagandistico ante litteram affondava le basi sulla restaurazione di una mitica età dell’oro per Roma e la cristianità.

Il messaggio che ritroviamo nei versi di poeti di corte non era atto alla semplice adulazione, esso era destinato ad altri lidi, doveva uscire dalle mura della curia romana e inondare le piazze e le vie, non solo di Roma, ma di tutta Italia, in quanto il regno pontificio non era limitato solo ai territori dello Stato della Chiesa, ma Giulio II doveva superare persino Giulio Cesare.

L’ideologia della renovatio imperii fu il fulcro della propaganda giuliana, il Della Rovere dichiarandosi legittimo discendente della tradizione romano imperiale e secondo Giulio Cesare, improntò tutta la propria retorica riferendosi ad un ritorno imminente ai fasti passati. Giulio II inscenò tale renovatio imperii attraverso una renovatio urbis, la quale concretizzò la retorica giuliana grazie all’opera di Michelangelo e del Bramante, andando a dimostrare come tale progetto non fosse solo un’astratta divagazione letteraria, bensì un concreto e tangibile progetto politico.

La concretizzazione del rinnovamento imperiale e del ritorno all’età dell’oro passò anche attraverso la spettacolarizzazione dell’autorità papale. Giulio II, successore della Roma imperiale, prese il simbolo del massimo onore romano, ovvero il triumphus, e lo ripropose nella sua epoca. I trionfi del Papa guerriero, ci sono stati tramandati come superiori persino ai trionfi imperiali. Tali trionfi, infatti, erano la manifestazione tangibile della retorica giuliana e anche essi furono, dunque, funzionali al suo progetto propagandistico. Tali fasti, però, si potevano replicare solo a determinate condizioni, ovvero una politica militare da parte dello Stato pontificio. La legittimazione a muover guerra, Giulio la trarrà dalla dottrina tomistica cinquecentesca del bellum iustum, ovvero affinché una guerra non venisse ritenuta inhonesta, devono presentarsi tre condizioni: legitima auctoritas, iusta causa, debitus modus.

Il Della Rovere utilizzò spesso, oltre alle armi secolari, le armi spirituali. L’interdetto e la scomunica erano i fulmini che si abbattevano contro chiunque provasse a ostacolare il suo volere; ma non si limitò a questo, egli, riprendendo la tradizione crociata, prometteva, a coloro i quali avessero impugnato le armi in suo nome, l’indulgenza plenaria. La remissione di tutti i peccati e il paradiso “per contratto” erano garantiti in quanto le guerre che il pontificato compieva erano rappresentate al popolo come delle vere e proprie crociate, che avrebbero dovuto condurre alla crociata finale per la riconquista di Gerusalemme. La propaganda giuliana giustificava così la propria volontà di egemonia, ovvero mostrava tali guerre come necessarie per far sì che si potesse raggiungere un fine superiore.

Il 3 febbraio 1513, nella tradizionale processione di carnevale, Giulio II rappresentò pubblicamente la propria apoteosi. Egli, liberatore d’Italia, alla testa di 16 carri trionfanti e numerose schiere di milizie, si regalò un trionfo maestoso a Roma, mostrando a tutta la cristianità la realizzazione del proprio progetto politico. Tale trionfo sarà l’ultimo della vita di Giulio II, il quale morì pochi giorni dopo, tra il 20 e 21 febbraio, lasciandosi alle spalle una scia di applausi ed insulti da parte di coloro che furono vittime e destinatari della sua propaganda e volontà politica.