Donazzan: "Il Veneto premia le aziende che puntano sulla sicurezza sul lavoro"

Valentina Parisi

Un decreto legislativo, quello sulla sicurezza sul lavoro, approvato da tutte le regioni, tranne dal Veneto, che si è opposto con decisione perché ritiene tale decreto ridondante, repressivo e non educativo. Per gli amministratori di questa regione, la formulazione del decreto è avvenuta in maniera troppo rapida per affrontare efficaciemente un tema così complesso e “nel decreto non si parla di un eventuale potenziamento dei controlli, cosa per noi necessaria”. Il Veneto, spiega l’assessore Donazzan, affronta il problema “sicurezza” sviluppando molteplici iniziative condivise, da quelle educative al criterio di premialità per le aziende che puntano a rafforzare la sicurezza.

D – La sua Regione si è differenziata dalle altre opponendo un secco rifiuto al decreto legislativo del Governo sulla sicurezza nei posti di lavoro. Può spiegare quali sono i motivi fondamentali che vi hanno spinto ad assumere una posizione così intransigente?

R – Noi abbiamo inteso dare un parere negativo per alcuni ordini di ragionamenti. Il primo su tutti è che questo decreto è stato formulato in extremis. Quindi, è arrivato proprio sul filo dello scadere della delega, quando è invece l’argomento più importante che dobbiamo affrontare oggi.
Il secondo tema è legato a “come” è stato affrontata la questione della sicurezza sul lavoro.
E’ questo un tema compiutamente dibattuto nella nostra Regione tanto da avere attivato una Commissione specifica all’interno della “Commissione per la Concertazione tra le Parti Sociali” dove tutti gli interlocutori hanno inteso dare il proprio apporto per riuscire a migliorare innanzitutto la formazione dei lavoratori e la diffusione di una cultura della sicurezza. Che non è quella che si evince da questo testo, cioè un approccio repressivo ancorché di prevenzione forte.
Il terzo argomento è quello legato alla richiamata semplificazione amministrativa. Un decreto di 303 emendamenti non è certamente semplificazione amministrativa. Anzi, appare ridondante proprio per avere voluto puntigliosamente definire ogni singolo aspetto. Questo non può che comportare ulteriore aggravio nella percezione di quello che si deve fare per la sicurezza sul lavoro e credo che creerà anche ulteriori contenziosi e problemi.
Alla luce di queste considerazioni abbiamo chiesto maggiore tempo e maggiore serenità per affrontare l’argomento, posto che le Regioni e certamente la Regione Veneto che su tutte ha già avviato una serie di percorsi condivisi per affrontare il tema della sicurezza sul lavoro.
Un ulteriore motivo per cui abbiamo dato parere negativo è il “potenziamento dei controllori”. Riteniamo viceversa che sia un tema da affrontare. Nel decreto non c’è un passaggio che riguardi i controlli. Anzi, paradossalmente avevano individuato nei Vigili del Fuoco un ulteriore soggetto poiché già avevano delle competenze. Ebbene, volevano aggiungere altre competenze ai Vigili del Fuoco non tenendo conto del fatto che questo è un corpo che ha subito tagli consistenti al bilancio, forse è il soggetto più penalizzato dell’intero apparato statale.
Anzi, a questo riguardo mi preme sottolineare che la Regione Veneto ha siglato un accordo con il Ministero degli Interni proprio per andare a sopperire alle mancanze dello Stato nel finanziare la formazione e le strutture dei Vigili del Fuoco.
Se non si parla di controlli uniti alle risorse economiche, si fa solo demagogia.
Queste sono le principali considerazioni che ci hanno portato a non accettare questa proposta che per la velocità, la non completezza, l’eccessiva ridondanza, crediamo possa solo peggiorare e non migliorare quella che deve essere l’azione dello Stato, unitamente alle Regioni e alle Parti Sociali, rispetto al tema delicatissimo della sicurezza sul lavoro.

D – Per quella che è la vostra esperienza, avendo già ascoltato tutti gli interlocutori, come si può fare per trovare la collaborazione non solo delle aziende, ma anche dei lavoratori affinché comprendano quanto sia importante adeguarsi alle regole per la sicurezza?

R – Innanzitutto si deve dedicare una formazione “vera” legata alla sicurezza sul lavoro. Tante volte è un problema di cultura diffusa. Noi abbiamo fatto anche dei progetti legati al mondo della scuola. I cittadini di domani, che saranno dei lavoratori, devono capire che il tema della sicurezza non è solo il rispetto di una norma che ti può salvare la vita, ma è un approccio culturale. Se pensiamo che l’80% degli infortuni sul lavoro certificati dall’INAIL così come le malattie e, nei casi più estremi, le morti, sono causati da comportamenti definiti “soggettivi” del lavoratore o del datore di lavoro. Migliorare la cultura della sicurezza, diffonderla, attraverso fatti anche concreti ovvero ore dedicate alla formazione o anche la premialità come è già successo negli ultimi due anni.
L’INAIL aveva immaginato una premialità rispetto a quelle imprese che avessero avuto dei risultati concreti rispetto alla prevenzione. Questi sono gli strumenti che ci servono. Non ci serve arrestare l’imprenditore o creare vincoli che determinano l’altezza dell’impalcatura o quale tipo di marchio deve essere applicato alla stessa. Perché queste sono norme che nulla hanno a che vedere con la sicurezza sul lavoro se parliamo appunto di migliorare la cultura e di intervenire sulla prevenzione.

D – Su un territorio come il vostro, dove la presenza industriale è molto distribuita, riuscite a raggiungere tutte le aziende per divulgare questi principi?

R – Si e no. No quando parliamo di controlli. Purtroppo i livelli dei controlli sono ancora molto bassi. Troppi i soggetti che hanno competenze diverse. Non esiste un vero e proprio piano di coordinamento dei controlli. Su questo la nostra Regione si sta muovendo. In questo senso il Decreto va in tutt’altra direzione.
Le rispondo “si” invece per ciò che concerne il riuscire a toccare le imprese e i lavoratori quando parliamo di sicurezza del lavoro in termini proprio di cultura, perché anche noi come Regione abbiamo inserito un criterio di premialità per tutte quelle imprese che, attraverso la responsabilità sociale e dell’impresa quella vera – quella che interviene con delle azioni concrete, condivise con i loro sindacati esterni e le rappresentanze dei lavoratori – faranno azioni concrete e operative per rafforzare la sicurezza sul lavoro. Diciamo che sui controlli c’è da fare molto, questo si. Abbiamo bisogno di risorse, perché vanno potenziati, soprattutto vanno aiutati soprattutto perché avranno anche il ruolo di “consulenti delle imprese” nel momento in cui queste dovranno migliorare o modificare alcuni atteggiamenti o anche situazioni non regolari.

D – Il problema forse sono le piccole o piccolissime imprese, non trova?

R – Si, lo sono perché tante volte non hanno neanche gli strumenti per l’auto-analisi, per comprendere quali sono le situazioni, e certamente hanno anche problemi strutturali di investimenti veri e propri, di ciò che serve per rispondere compiutamente alle normative vigenti. Perché guardate che non siamo in una situazione di “vuoto legislativo”. Le norme ci sono, vanno semplicemente rispettate. Le piccole e piccolissime imprese devono essere sostenute rispetto a questo. Però io ho visto che al tavolo di lavoro che abbiamo creato su questo argomento sono state soprattutto le imprese artigiane a rappresentare la loro esigenza di non volere essere escluse da questi procedimenti dove forse il mondo industriale è già più avanti. Forse proprio perché nell’impresa artigiana il lavoratore dipendente opera fianco a fianco con l’imprenditore-datore di lavoro, in questo tipo di rapporto la percezione della sicurezza del lavoro è assolutamente diffusa. Bisogna mettere in moto dei meccanismi che possano toccare anche queste piccole, piccolissime imprese, che costituiscono il tessuto fondamentale della nostra Regione e che devono essere messe nelle condizioni anche loro di potere non solo rispettare le regole (questo va da se), ma che devono poter migliorare quegli standard che devono essere affrontati tramite la formazione e la cultura.

D – E magari fare arrivare fino a loro la “premialità”.

R – Questa potrebbe essere una buona leva non solo per convincerli, ma per raggiungere i risultati cui noi tutti puntiamo, perché la sicurezza sul lavoro è una piaga sociale. Non può esserci civiltà che fa morire per vivere. Perché noi lavoriamo per vivere, per avere una buona qualità della vita. Non si può morire sul lavoro. Però non credo che siano puntuali, puntigliose norme, che rendono la vita impossibile per il lavoratore e il datore di lavoro, non saranno queste norme che ci faranno superare e sconfiggere questa piaga.